Pubblicato Venerdì, 07 Novembre 2014 09:53
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Solamente NO!  O magari anche un  “FORSE”?

 

tav si no

 

Leggendo chi mi ha preceduto su queste pagine, mi sono domandato come mi sarei comportato di fronte all’ordine del giorno presentato dalla Presidente Fedele Ferrari e approvato recentemente dal Consiglio comunale di Ala. Nella circostanza il consesso cittadino si è schierato contro il potenziamento dell’Asse ferroviario Monaco-Verona. Probabilmente mi sarei schierato con i      “si adess el fem”,    “ne parlem doman”,    “speta en moment”,    “ghe temp”.

 

Il dubbio e le perplessità mi avrebbero attanagliato. Seppure abbastanza attento e intellettualmente partecipante alle cose di casa nostra, di questo problema non mi sono mai voluto impegnare a fondo perché, ho capito, non saprei che pesce pigliare.

 

L’ambiguità della mia posizione non depone a mio favore, è evidente. Tuttavia cercherò di chiarirla affinché in qualche modo sia proficua per chi la volesse leggere. E questo non tanto per la convinzione che ne emerge, poiché il dubbio non è pragmaticamente utile, quanto piuttosto per le riflessioni che comunque possono essere rivisitate anche in chiave critica a conferma delle opinioni orientate.

 

Ovviamente non sono tanto miope da non considerare i rischi che un’opera colossale come questa implica. L’ordine del giorno sopra citato elenca puntualmente solo quelli riferiti al terzo lotto. Gli altri lotti ne avranno di altrettanto numerosi e, forse, di impatto ancor maggiore.

 

Ma d’altro canto, mi dico, ogni opera dell’uomo ha dovuto correre seri potenziali rischi, brutture estetiche, compromessi tecnici, per potersi imporre. Basti pensare alla seconda rivoluzione industriale che ha stravolto l’Europa nel XIX secolo allorché è apparsa alla ribalta della cronaca la ferrovia e il telegrafo, quello con i fili. Nell’arco di qualche decennio il territorio che va dalla Francia, alla Russia, dall’Italia alla penisola scandinava, è stato intasato da cantieri per costruire linee ferroviarie e punteggiato di pali raccordati da fili di rame che trasmettevano l’alfabeto Morse.

 

Ho presente una vecchia fotografia che documenta la costruzione del viadotto della Valsugana dalla stazione di Trento a quella di Villazzano: una selva impressionante di pilastri bianchi (gli avvolti tra i pilastri non sono ancora costruiti) nella piana a sud est di Trento, interamente occupata dalla grigia campagna (ovviamente stiamo parlando di una foto in bianco e nero). Certo l’impatto ambientale non era stato di poco conto, ma oggi fa parte dell’arredo urbano, una presenza accettata e un servizio utile che permette lo spostamento di una gran massa di persone su un piano diverso da quello stradale intasato nelle ore di punta. Una ricchezza che ci troviamo a gestire per la lungimiranza dei nostri nonni o bisnonni.

 

C’è poi da considerare l’impatto del cambiamento di fronte al quale la reazione immediata è generalmente quella della paura e del timore di rompere una situazione che si regge su un delicato equilibrio.

 

Non vorrei essere irrispettoso per il contesto della questione sul tavolo, ma le paure del cambiamento mi ricordano le discussioni nelle assemblee condominiali allorché le proposte più razionali e sensate incontrano un generale ostracismo se non rispondono a interessi individuali concreti e consistenti. Si tende a considerare solo l’immediato e si perde di vista le opportunità di medio e lungo periodo. E’ evidente che un cambiamento porterà benefici non ugualmente distribuiti nell’immediato, ma si deve pensare anche agli interessi dei nostri figli e nipoti e non solamente al nostro piccolo orticello.

 

La vista dovrebbe spaziare su orizzonti più ampi.

 

Inoltre non trascurabile è l’aspetto che riguarda il patrimonio strutturale del nostro paese. Siamo in grave e profonda depressione. Gli esperti ci dicono che la nostra dirigenza negli ultimi anni non ha prodotto una politica industriale di qualche rispetto.

Si è solo pensato ad interventi spot per qualche interesse particolare.

Si è mirato ad uno scenario sbagliato: la destrutturazione dell’apparato manifatturiero a vantaggio di una economia di servizi e di finanza. Oggi tocchiamo con mano il peso di tale scellerata politica economica. Per ripartire abbiamo bisogno di una montagna di cose, ma fra queste spiccano anche i servizi al sistema industriale e il trasporto non è certo un elemento da trascurare, oltre ad essere un’occasione di lavoro in sé.

 

 

Mi si risponde: ma per le esigenze future di trasporto la tratta Monaco-Verona potrebbe essere rafforzata o diversificata senza dover costruire un suo raddoppio di linea. E’ possibile.

 

Ma comunque mi sorge il dubbio che se a livello comunitario si è pensato per il futuro a questa soluzione una certa qual importanza strategica il progetto deve pure averla, premettendo di non credere alla potente lobby di banchieri o di chicchessia che riesce a piegare ai propri sordi interessi una comunità di oltre trecento milioni di persone.

 

La corruzione rischia di vedersi presentato un succulento piatto e purtroppo i precedenti non mancano. Non è nemmeno escluso che qualche politico locale abbia maturato le propri convinzioni su scenari di lucrosa illegalità. Ma su questo punto non esistono alternative.

O il nostro paese riesce a sconfiggerla o è destinato a soccombere, che si faccia o meno la linea ferroviaria.

 

Da ultimo, per non affliggere troppo il lettore, una banale considerazione percorrendo l’autostrada del Brennero: una fila pressoché continua di mezzi di trasporto che occupano la corsia di destra. E’ possibile che si possa diversificare il sistema di trasporto nord-sud Europa spostando su altri tipi di vettore il traffico di merci e passeggeri?

Lo sdoppiamento della ferrovia potrebbe rispondere a questa esigenza ed essere quella impresa dell’uomo che lascia il segno per il futuro del nostro paese?

 

Chiudo qui l’elenco, sebbene ci siano ancora altri dubbi da esternare. Ma allora quale il contributo di questo intervento? Nessuno, tranne solo forse quello di ricordare ciò che comunque tutti hanno senza dubbio già considerato e forse superato. Sono però contento di non dover essere coinvolto in prima persona in questa dolorosa decisione.

 

Edoardo Croni, già Responsabile Servizi Amministrativi Università di Trento

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