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- Pubblicato Sabato, 01 Settembre 2012 08:00
- Scritto da Rizzi Luciano
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“PERCHE' LA VILLALTA NON VIVA NEL PASSATO”
Fattezze e sembianze che risalgono il tempo, volti che rimandano lontano, tratti che si sovrappongono ad altri per confrontarsi nello schedario della memoria ed avere così un nome o una storia, per ritrovare una presenza o la continuità di vicende umane radicate nelle generazioni che nel tempo hanno abitato questa città.
Anche questa è una lettura della festa della Villalta, un guardare a ritroso per risaldare i ricordi, ricomporre immagini disordinate , ricambiare con un sorriso un saluto e dire con lo sguardo: “si sono io , ti ho riconosciuto”.
E' la festa di una comunità che ritrova se stessa o forse quello che è stata, per ricombinarsi nella convivialità di un percorso che spesso le vicende della vita hanno interrotto; la festa come un ponte per riunire i molti di allora con i sempre meno che ancora ricordano, ma in tutti il desiderio di cercare, di trovare, di ricongiungere generazioni che rischiano di perdersi o forse inconsapevolmente già sono lontane.
Un impegno grande come il tempo trascorso, un tragitto non del tutto interrotto, solamente sfilacciato , liso ma non ancora lacerato; questo appuntamento trova allora modo di rammendare la tela comune.
L'atipicità della festa risiede nelle sue due anime , nel contrasto tra il desiderio di far rivivere tratti di vita lontani, di recuperare attraverso nomi, fatti, episodi , racconti, una memoria che si ripropone nella testimonianza di coloro che furono i protagonisti di un tempo e in una aneddotica pittoresca , spesso ilare, qualche volta tragica .
Poco rimane di questa antica anima , più per il rimpianto e la nostalgia che per le cose risparmiate dal tempo, ancor meno sopravvive delle vecchie atmosfere e ormai nulla che testimoni la reale condizione di una civiltà contadina.
Per l'inadeguatezza delle parole, è del tutto improponibile a quanti non l'hanno vissuta, ogni spiegazione della vita di allora , la descrizione di quella dura quotidianità, fatta di sacrifici, rinunce. Nella Villalta di allora era tangibile la fatica del vivere contrassegnata dal rumore degli zoccoli di legno ( le sgalmere) sul selciato e quello secco dei ferri a mezzaluna messi a protezione delle punte e dei tacchi delle scarpe. E su tutto il rumore dei bambini per i quali la seconda casa era la strada e l'unica “occupazione” organizzata era offerta dall'Oratorio con la somministrazione della “ Merenda”, pane e formaggino Roma o Cioccolatina con annessa figurina (più ambita per quest'ultima che per la qualità del cioccolato).
Irrecuperabili le sensazioni e quel misterioso legame che plasmava una comunità ricca di solidarietà, compassione, mutualità e partecipazione. Per loro , si, la Villalta possedeva questo che ora definiamo fascino; un crogiolo di fermenti, sensazioni e animazioni ritrovabili solo nella filmografia di Olmi e Bertolucci.
Un tessuto edilizio gremito e asfissiante, un affollarsi non di rado promiscuo, una stratificazione di attività, censo, ricchezza e povertà che convivevano senza stridenti e marcate differenze di classe. Vi conviveva il drammaticamente povero con il piccolo borghese, chi traeva sostentamento da qualche macilenta capra con chi campava con lo stentato lavoro nel bosco o con la raccolta stracci, la prestazione giornaliera – “en opra” – si diceva , con il negoziante, l'artigiano e con il contadino .
Tanti, questi ultimi , qualche piccolo proprietario ma soprattutto mezzadri e affittuari non di rado alla mercé di chi controllava i conferimenti, i dannati di quel carico d'uva respinto più e più volte dai notabili delle cantine - tutte rigorosamente private - fino a quando venivano ceduti per poche lire e con tanta disperazione . E questo fino al provvidenziale avvento della cooperazione.
Ancor di più erano i disoccupati, ragazzi e meno giovani, in quelli che furono gli anni della “TOT” o dei cantieri scuola – delle case “Minime” - dei lavori pubblici funzionali ad alleggerire il disagio sociale, di qualche iniziativa forestale (un “Progettone” ante litteram), della “Refezione” una forma di integrazione alimentare provvidenziale per molte famiglie e dispensata dal Patronato Scolastico, anni nei quali tra le richieste più numerose fatte all'anagrafe Comunale , campeggiava quella del “Certificato di Povertà'”!
L' “intellighenzia e la borghesia ” albergavano più a valle; il confine della “ Boccabella “ non era solamente toponomastico ma tangibile e ravvisabile nei comportamenti.
La vita “quella istituzionale e civile” si alimentava in S. Giovanni con il Municipio, la Scuola Media e il Ginnasio, il Convitto, l'asilo ( allora si chiamava così in modo figuratamente molto concreto e reale), la Biblioteca e il Museo (sparito nel nulla), la Farmacia e la Cartoleria, il Barbiere e la Parrucchiera, il Mercato e il commercio.
La Villalta era là, popolosa, affollata , turbolenta e cupa come appariva a noi bambini della “Bassa”, intimoriti dal fantasticare, resi timidi da infondate paure e smarriti solamente al pensiero di penetrare quel luogo per noi così misterioso.
Impensabile avventurarsi da soli in quel micromondo dipendente dalla Città ma nello stesso tempo autonomo, così ricco di umanità e tradizioni, effervescente e qualche volta violento, più nelle parole che nei fatti.
Era però nella circostanza delle festività religiose e pagane che l'appartenenza alla stessa comunità diveniva più tangibile. Allora la Villalta si apriva accogliente, premurosa, capace di abbellirsi per rendersi più amabile. I migliori altari che punteggiavano il percorso della processione del Corpus Domini erano li alla Piazzetta del Brusco (o del Pagnoca, ora del Mandolin) , gli addobbi più ricchi erano alle finestre di via Roma e della Villalta e anche nel contrasto più laico del carnevale, la vivacità e l'intraprendenza era patrimonio di quella gente.
Figlia di quella civiltà contadina radicalmente estirpata nel volgere dei pochissimi anni nei quali il rione cambiò forma e anima sotto la spinta di un finalmente raggiunto benessere, il cui lascito più doloroso si fissò nel progressivo spopolamento .
L'accresciuta prosperità economica trasmigro' nel desiderio di affrancarsi da un luogo che per quanto circonfuso da una convivialità bella, solidale e folcloristica appariva anche per quello che era: una realtà dolorosamente povera e inadatta ad una vita che cominciava ad intuire nel fascio luminoso della televisione e resa possibile dall' accresciuta occupazione nelle prime industrie.
Tra la seconda metà degli anni sessanta e settanta sorse una nuova Ala, quella che vediamo nella cintura che avviluppa il centro storico cresciuta con i canoni di allora, villette dignitose possibilmente monofamiliari, case popolari e condomini per accogliere i nuovi nuclei familiari e con essi l'esodo di una contrada che negli anni ottanta raffigurava solamente il luogo simbolo di come eravamo.
Un oblio fortunatamente breve; provvidenziali interventi di recupero, un'accorta politica di valorizzazione, la tenacia di quanti decisero di rimanere e la fiducia di altri che la scelsero la loro residenza, anche la riconsiderazione di una nuova prospettiva turistica e culturale ricondussero il rione nel corpo vivo della città.
Ed ora la festa, ma forse è riduttivo chiamarla semplicemente festa . Ci sono questo è vero, la musica e i musicanti, il duo Otto e Barnelli e la lotteria, lo speaker e la passerella dei politici, ma credo sia qualcosa di più e certamente di diverso.
Sembra forse più una ricorrenza alla quale augurare una vita lunga quanta basta per il passaggio del testimone, un'occasione per la transizione dalla vecchia alla nuova generazione, dal nucleo originario ai nuovi arrivati, un' opportunità per ciò che il tempo ci concede di ritrovare e rivivere e anche il rimpianto di quanti aggirandosi magari perplessi si pongono insoluti perché.
Le città non muoiono, per quanto possano cambiare, mutare profondamente, le pietre che le formano spesso si scambiano il posto, muta qualche profilo, si ingentilisce qualche angolo e altri ne vanno in rovina, ma non è difficile, ripercorrendo le strade magari deserte risentire suoni, voci, odori, intravedere, riconoscendola qualche defilata figura.
A me è capitato e non credo di essere stato il solo .
Luciano Rizzi
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