Testo fisso

 Per la politica dell'ambiente                                   Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso! Guevara                                          

Il patrimonio storico artistico della chiesa di Pilcante

 

Il patrimonio storico‑artistico della chiesa fa parte inscindibile della storia del paese per cui conoscerlo e difenderlo è opera civile apprezzata da tutti. Si tratta infatti delle espressioni migliori del lavoro e della spiritualità dei nostri antenati Il presente contributo entra in questo assunto. Serve a precisare alcune notizie che altrimenti verrebbero trasmesse senza controllarne l’esattezza storica, come di fatto è avvenuto, e per riscattare alcune maestranze dall'oblio della storia lagarina.

 

Il San Martino Nuovo è sorto sul luogo del San Martino Vecchio, che era di stile romanico, con campanile, sacrestia, cimitero; rimangono tracce di mura e di materiali laterizi accessibili dai sotterranei e che potrebbero costituire oggetto di studio per gli archeologi. Però occupa un'area assai più vasta della precedente, tale da occupare l'intera collinetta.

 

La genesi della chiesa è presto detta. Per ottemperare ad un Voto del 1735 fu manomessa l'architettura della chiesa romanica  condanno irreparabile. Nel 1737, per far posto alla cappella votiva fu demolita la parete meridionale, ma non piacque al Vescovo di Verona, che in quell'anno era in visita pastorale. Per ovviare allo sgorbio architettonico, fu consultato l'architetto Bernardo Tacchi di Rovereto, il quale suggerì la soluzione risolutiva non soltanto de' problemi artistici, ma pure i problemi dello spazio, della luce, della comodità e del prestigio. Il progetto risultò conforme ai gusti del tempo ed accessibile alle finanze dei committenti per cui fu accolto dalla gente con singolare entusiasmo. Gli anni del grande avanzamento sono il 1742‑46. Nel mese di settembre 1746, il Libro spese (gentilmente messo a disposizione dal parroco Don Aldo Tomasi) segnala: <<Adì 23 sett. francato la metà del Capitale che tiene la Chiesa con Gian Alberto Mazurana e contati tr. 500 >>: (rogiti Fumanelli). Negli anni successivi le spese complementari e d' arredamento.

Nell'autunno del 1752 furono iniziati i lavori del campanile,che però procedette a rilento, fino al 1755. Il manufatto giunse fino <<al Cordon>> poi subì una sospensione per il cambio della committenza: dalla chiesa passa all’Onoranda Comunità di Pilcante, che lo porterà a termine onorevolmente, intorno al 1760.

 

 

LO STILE DELLA CHIESA Dl SAN MARTINO

 

Il complesso architettonico religioso emerge sui tetti dell'abitato, ma per avere l'idea esatta è necessario avvicinarsi e guardarlo di faccia, dal lato ovest, dalla piazza.

Lo stile non è barocco nel senso proprio del termine, perché mancano i riferimenti esuberanti e la ricchezza dei materiali, ma è di mutazione barocca e perciò un barocchetto. Non è di stile neoclassico, perché è arricchito di ornamenti: lesene, capitelli corinzi, nicchie e perciò è un leggero rococo. Nella storia dell'architettura religiosa trentina, questo stile è noto col termine <<stile Bianchi>>, perché la lunga serie degli architetti d'origine comacina, dal postbarocco approdano ad uno stile personalizzato, che piaceva al gusto del secolo XVIII.

La facciata si presenta a doppia trabeazione, quindi, con duplice ordine di lesene a capitelli corinzi ed un vertice ad arco con ampie volute discendenti, ornate agli apici con crateri fiammeggianti. Perpendicolare al portale, il finestrone a transenna. Le dimensioni sono contenute, sia per i limiti imposti dallo spazio, sia per le possibilità economiche dei committenti. ma in sintonia con la monumentalità dei palazzetti circostanti, che risalgono ai sec. XVI‑XVII. Il portale è barocco, con il frontone arcuato; sul gioco delle volute il gruppo marmoreo a tutto rilievo della carità di San Martino, che attutisce l’effetto che potrebbe provocare la ristrettezza della piazza, che in realtà è uno slargo della strada regia. La data 1776 che si legge sullo scudo, è la precisazione della messa in opera del portale.

L'internoè ad aula rettangolare. Il presbiterio ad abside semicircolare; il soffitto a volta rialzata. Nell'insieme riflette il contenimento delle dimensioni esterne. Le strutture lungo le pareti si aprono sugli altari laterali di marmo policromo, non dissolvono lo spazio unitario per la loro poca profondità, anzi lo rendono più intimo e facilmente misurabile alla vista. Non possediamo le misure esatte, ma non andiamo molto lontani dal vero, suggerendo la lunghezza dall'entrata all'abside in m. 35; la larghezza in m. 10.15, al presbiterio m. 8.25; l'altezza al colmo della volta in m. 15.

La decorazione delle lesene è sobria ed ispirata a motivi floreali stilizzati e geometrici alternati, che non contrastano con lo stile. I risvolti esterni delle foglie d'acanto dei capitelli e i fregi sono dorati e danno il senso della gioia, della preghiera nonché il senso della luminosità permanente. La decorazione e del pittore Agostino Aldi di Mantova e risale al 1930.

L'arredamento e completo agli altari, con le rispettive tele d'epoca. Recentemente (1983) il pavimento del presbiterio e stato restaurato dall'Assessorato ai Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento, reimpiegando le pietre romboidali policrome, alcune certamente del 1750, altre del 1866, rispettivamente del primo e del secondo pavimento.

 

 

IL CAMPANILE

 

La storia del campanile è complessa, perché è stato portato a termine in due tempi Noi siamo in grado si seguire soltanto la prima fase.

Anche per il campanile vale il discorso architettonico e stilistico della chiesa. Riflette il gusto degli ultimi comacini operanti nel Trentino. La torre si eleva su basamento a piramide tronca e si sviluppa per circa m. 35 in ampie superfici intonacate, chiuse da cornici di pietra faccia a vista. La cella campanaria risulta curatissima e di bell'effetto. Le ampie bifore e i balconcini sporgenti sui quattro lati richiamano lo stile veneziano del sec. XVIII. La sommità è a tamburo ottagonale, su la sezione quadrata, seminascosta dalle quattro fiamme e dal pinnacolo.

Nel consuntivo e consegna dei conti compiuta dall'amministratore Don Antonio Eccheli, risulta che ai 22 febbraio 1756, egli rimane creditore di tr. 449:15 (soldi), che però dona alla chiesa <<per totale perfezione dell'opera>>. Il poco legname e le ferramenta che gli restarono, all' 11 gennaio 1757, promise d' impiegarli <<ad uso del campanile quando si continui. e non si intermetta la di quello principiata fabbrica>>. Si deduce che all'inizio del 1757, la prosecuzione della fabbrica non era ancora certa. Non siamo in grado di controllare la convinzione di Guido Boni da Tione del Cav. Giovanni Libera di Avio e del prof. Mutinelli di Serravalle secondo i quali, il campanile di Pilcante fu portato a termine dalla fredaia dei Cometti, dopo la costruzione del campanile di Tione.

Il concerto delle cinque campane è della Ditta Luigi Cavadini di Verona che le fuse e le colloco nel 1936.

 

 

LE MAESTRANZE

 

Per maestranze intendiamo quell imprese o quelle persone che lavorarono intorno alla chiesa o al campanile. Dal Libro spese siamo orientati con relative certezza, perché alcuni nomi sono espliciti, di altri e riferito soltanto il nome, senza specificare la qualità del lavoro, e di altri ancora si fa il nome, ma vengono pagati per conto terzi.

 

Bernardo Tacchi

Il discorso interlocutorio dei committenti con 1'architetto di origine comacina risale agli anni 1739‑40, quando il Tacchi era occupato alla costruzione della chiesa della Madonna di Loreto e di alcuni palazzi della città di Rovereto. A noi piace sottolineare che il Tacchi fondò il progetto della chiesa di Pilcante su quello della Madonna di Loreto, fatta eccezione di alcuni particolari architettonici a vantaggio di Pilcante. Le chiese di Loreto (Rovereto) e di Pilcante sono chiese sorelle, perché nate dallo stesso disegno, con lo scarto di qualche anno. Il Tacchi fu pagato a rate annuali di tr. 1.500 per sette anni. I suoi uomini sono presenti dal 1743 al 1750. Insieme ad essi lavorarono manovalanze locali. Per conto del Tacchi vengono pagati uomini noti soltanto per il nome, con prezzi notevoli, senza la specificazione della loro prestazione. Purtroppo restano nell'ombra: Mr. Paolo tr. 77:15; Mr. Giacomo tr. 261 (passim), Mr. Giuseppe tr. 308 (passim), Mr. Bondio tr. 264, un certo Fiamazzo non meglio specificato.

Il noto architetto viene pagato negli anni 1752‑55. Questa circostanza ci fa riflettere che Bernardo Tacchi ebbe in testa l'immagine di Pilcante per un ventennio, per cui è verosimile che nel complesso architettonico pilcantese abbia posto una attenzione particolare.

 

Teodoro Benedetti

Lo scultore di Castione (1697‑1787) ha disegnato e realizzato 1'altare maggiore e le balaustre, rispettivamente nel 1749 e 1750. Nel Libro spese si legge: <<Adì 6 Nov. (1749) per la esecione (sic) del Altar Magior e a conto del S. Teodoro Benedetti (passim) tr. 6:14, item tr. 71; item tr. 250>>. Il contratto stipulato con il Benedetti viene saldato con rogiti Gardumi di Pilcante, il 31 dicembre 1749 <come da suo viglietto>>.

Nel 1750, il Benedetti viene pagato per i balaustri. Le pietre dell'altare giunsero a Pilcante via fluviale, quell de balaustri via terra, perché per le prime viene pagato il portinér, per le altre li boari della pieve (Brentonico).

I marmi sono nostrani: il bianco ordinario leggermente venato d'ombre, il ciregiolo (ziresol) di colore rosso con macchie chiare, il giallo di monte Giovo (Castione) righettato variamente, la lumachella, il cinerino ecc... Gli angeli ceroferari e adornati ci sembrano di pietra tenera di Arco. Il marmo malefico (nero) probabilmente proviene da Predazzo.

La manovalanza del Benedetti è tutta locale fatta eccezione d'un commesso (un Giuani o Giovane?). Gli altri sono: Vettor Eccheli, Simon Croce, Gioppi Cristian dalle Aste, Bolpi... Probabilmente il bravo scultore non venne mai a Pilcante, se non per saldare il credito, per vedere l'esito della sue produzione. In quel tempo era assorbito dai  lavori che portava avanti nel duomo di Bressanone .

 

Domenico Sartori

La presenza a Pilcante del famoso architetto di Castione (1709‑ 1781) è segnalata nell'estate del 1750, periodo in cui si alzano gli altari e si pose il pavimento. Il Sartori ha il conto aperto con l'amministrazione per cui viene da pensare che abbia fornito i materiali e che altre maestranze hanno messo in opera. A conto del Sartori viene pagato un certo Tirano non meglio specificato.

 

Valentino Villa

E’ architetto e impresario da Crosano e viene pagato da Don Antonio Eccheli già nel 1743, per la fornitura di laste, che in architettura significa lastre, cioè, tavole da pavimento, da rivestimento, come quelle che fanno da zoccolo alle lesene, all'interno della chiesa. Sappiamo che l'area del coro e del presbiterio fu la prima ad essere sistemata. Il suo conto viene saldato il 30 settembre 1744, inclusivo del prestito delle Taie.

Nel 1747 viene pagato per conto dell'architetto Bernardo Tacchi, per la fornitura di scalini; nel 1750 per i tavolazzi (ponti, armature?).

Un Bernardino Villa viene pagato nel 1754, per la fornitura di quadri (pietre squadrate), ossia, materiale utile per il campanile; a conto suo vengono pagati li board per li carezi (trasporti).

 

Valentino Lucchi

L'impresa di questo Lucchi è a Pilcante dal 30 ottobre 1749 al 22 settembre 1751. Egli viene pagato per i tavolazzi e per il pavimento. Per lui lavorano Giuseppe Bonati e Marco Eccheli.

Il suo nome ritorna nel 1754 per conto del Cordon (campanile) e per lavori compiuti per conto di Valentino Bianchi da Cazzano.

 

Valentino Bonomi

E’ a Pilcante nel biennio 1750‑52. La sue manovalanza è tutta di Pilcante eccetto il figlio. Le sue prestazioni sono varie, dalla fornitura dei tavolazzi alla erezione dell'altare di S. Antonio. L'amministrazione page per lui li preari ed alcuni locali: Marco Eccheli, G.B. Fazzi e il Tirano.

Il nome di Valentino Bonomi ritorna nel 1754, per la fornitura di quadri necessari al campanile e scalini. E’ da notare che all'interno del campanile sale una scale di pietra, fino alla cella campanaria. Ciò dimostra la cura avuta affinché l'opera riuscisse intrinsecamente perfetta.

 

Valentino Bianchi

Il capomastro è di Brentonico frazione Cazzano, ove i lontani discendenti esistono ancora; sono cansapevoli che i loro antenati <<erano bravi muratori>>.

Il Bianchi è a Pilcante nell'estate 1753 e viene pagato per la fornitura di materiali attinenti al campanile, fino al 1755: quadri a scarpa, per conto del Cordon, per saldo del cordon e quadri. Non v'è dubbio che questa impresa lavorava sotto la guide di Bernardo Tacchi.

Altro materiale viene fornito da Bortolo Cavalieri detto Fumane (località in Val di Progno di Verona), fornisce quadri. A suo nome lavora Vettor Eccheli, Bottolo da S. Cecilia per la condotta.

 

Stefano Paina

La testimonianza che il noto scultore di Brentonico ha lavorato a Pilcante è indiretta: <<Adì 24 settetnbre (1744) al stimadore de' vasi di pietra Stefano Paina tt. 3>>. Certamente si tratta dei crateri con famma posti sulla facciata, ai lati delle ampie volute. Non risulta espressamente se il Paina abbia scolpito qualche altare.

 

Antonio Borghi

Dal Libro spese viene nominato e pagato in qualità di stucadore (stuccatore); altre volte sono nominati genericamente <<stucadori>>, chelavorano nel triennio 1745‑47. Insieme al Borghi viene pagato un altro stucadore di nome Borghetti (alias Borgetti). Non risulta chiaro se si tratti della stessa persona o d'altra. Il Borghetti viene pagato a rate, come il Borghi.

Il 13 settembre (1747). il Borghi riceve un acconto delle fatture de' Puttini che portano le lampade. Il 12 dicembre dello stesso anno, si legge: <<al stucadore Borghi per saldo del primo contratto comeda scrittura fatta dal S. Tacchi e per conto del Tacchi tr. 356>>.

 

 

GLI ALTARI

 

Gli altari sono cinque e tutti di marmi policromi, di varia misura e varie epoche. Ognuno ha la sue storia più o meno complessa in quanto le notizie sono frammentarie. I due fornici ai lati della porta d'entrata sono occupati da un altarino in legno per la Madonna delle Grazie e dal fonte battesimale, già esistente nel san Martino Vecchio.

 

Altare maggiore

Scultore Teodoro Benedetti (1749). L'altare si presenta con accostamenti di marmi policromi ove viene sviluppata la linea orizzontale, rientrante ai lati con due modiglioni. La linea verticale è sviluppata dal tabernacolo centrale, che si eleva sopra la mensa con colonnine, mensole e putti fino alla cupoletta. Suggerisce l'idea d'un mini‑tempietto di bell'effetto. Nel centro una grossa corniola (ovolo) in marmo nero lucido che accentra la vista come su di un tabernacolo naturale. Ai lati estremi sui modiglioni due angeli ceroferari e adoranti di grandezza naturale alla stregua di quelli di Bernini, nella cappella del SS.mo Sacramento nella basilica di S. Pietro, a Roma. Il pagliotto è ornato semplicemente con due palme incrociate a custodia delle reliquie dei Santi Vitale, Prudenzio, Crescenza.

Dal punto di vista artistico, l'altare testimonia la <<lezione romana >> (berniniana) che Cristoforo Benedetti portò nel Trentino e che il figlio Teodoro ha diffuso in molte nostre chiese. Si adatta bene allo stile della chiesa e alla volontà dei committenti che volevano una cosa bella senza spendere troppo. Le balaustrate sono pure del Benedetti e risalgono al 1750.

 

Altare di san Francesco

Ingegnere Emilio Paor da Trento (1905).

La storia di questo altare comincia nel 1735‑37, quando riempiva la cappella votiva. Era di pietra fino alla mensa e sorreggeva l'arca della Madonna del Rosario. Nella chiesa nuova trovo il suo posto, ma l'arca della Madonna fu sostituita con la pala di S. Francesco in estasi, nel 1765, quando fu fondata la Compagnia degli Assisiati, che acquistarono la tela. Nel 1888 fu fondato il Terz'Ordine francescano, che ereditò l'altare dagli Assisiati.

Fu completato nella parte superiore, nel 1905, su disegno del Paor. Il collocamento fu dell'impresa Guido Sandri di Ala. Al momento del collaudo, l'ingegnere ricevette Cor. 112 e il Sandri Cor. 77:43, ma 1'intera operazione costo Cor. 3.100 (inclusiva forse delle colonne tortigli dell'altare di fronte).

La pala misura m. 1.24x2.40. E’ firmata sul contorno esterno del sandalo che si stende sulla stuoia. Allo scrivente è sembrato di leggere Cimaroli o Cignaroli o Cignani, che sono pittori veronesi, Il Santo è rapito in estasi mentre un angelo lo sorregge. Il pino mediterraneo inclinato sul Serafico fa pensare all'omaggio della natura verso la perfezione interiore dell'uomo.

Nel 1906 si incontra la spesa di Cor. 6, perché Giovanni Marani ridusse la tela e il telaio, adattandola alla cornice marmorea.

 

 

Altare di san Giuseppe

Scultore ignoto (1748).

L'attribuzione dell'altare è aperta a due o tre scultori <<brentegani,>: Bonomi, Villa, Sartori. Non è del Benedetti perché avrebbe adoperato marmi dai colori più vivaci. Il fatto che questo altare non e nominato nel Libro spese, ci fa pensare che fu alzato e compiuto insieme al suo <<gemello>>, che gli sta di fronte (S. Antonio). L'altare è detto indifferentemente di S. Giuseppe, dell'Angelo Custode, di Giobbe, di S. Nicola, patrono dei naviganti, zatterieri.

La pala è firmata <<Iacobus Novarini pictor veronensis Adì 8 May MDCCLXIII, cioè 1763. Il soggetto si presta a diverse letture, ma l’orientamento giusto viene dall'angioletto che tiene in mano il vincastro fiorito. Sul cartiglio si legge <<Omnia omnibus>>. Il bambino ha scritto la parola <<Fiat>>. Nella parte inferiore il vescovo S. Nicola in ginocchio, l'Angelo Custode che protegge il bambino smarrito ed un Giobbe accasciato di memoria unterpergeriana.

Nel 1891 la tela fu restaurata dal pittore G.B. Chiocchetti. Lo stato di conservazione è buono.

 

Altare di Sant'Antonio

Fu alzato da Valentino Bonomi (1752).

E’ l'altare <<gemello>> a quello di S. Giuseppe, ma non risulta espressamente da quale bottega siano usciti i marmi. Il Bonomi viene pagato per averlo messo in opera. L'altare fu patrocinato dall'Onoranda Comunità, che provvedeva alla celebrazione delle feste de' Santi in esso rappresentati, fin dal sec. XVI.

La pala non è firmata e misura m. 1.26 x 2.10. Raffigura la Vergine Assunta e sotto, i Santi Antonio di Padova con il Bambino, Sebastiano, Margherita e Rocco. Stilisticamente richiama la scuola fiemmese. L'Assunta resta nell'ombra e perciò distaccata dai Santi. Nel 1891 fu restaurata da G.B. Chiocchetti.

 

Altare della Madonna

Nel sec. XVIII,questo altare era di pietra soltanto alla predella e per un certo periodo fu usato uno dei due laterali esistenti nel San Martino Vecchio. Nel 1765 fu occupato dall'arca lignea della Madonna del Rosario, fino al 1885. In quest'anno la Madonna del Rosario fu posta in nicchia sull'altare di S. Antonio, e fu acquistata l'immagine attuale, raffigurante la Madonna in piedi col Bambino sulle braccia di provenienza gardenese. In questa occasione l'altare fu fatto in pietra fino alla mensa e soltanto intorno al 1897 fu completato nella sezione superiore. Tuttavia, non escludiamo che le colonne tortigli siano state alzate intorno al 1905, perché dai semplici <<indizi>> non e giusto trarre conclusioni apodittiche. La nicchia fu aperta e illuminata di luce elettrica negli anni 1915‑ 16 dai soldati di stanza nel paese.

 

Madonna delle Grazie

Scultore Mansueto Stuffer di Val Gardena (1927).

Il gruppo ligneo dorato e dipinto rappresenta la Madre con il Bambino sulle ginocchia. Lei tiene le mani giunte. I precedenti di questa immagine sono assai curiosi, perché affonda le radici nel sec. XVI. Nel 1737 occupava la cappella votiva, poi, fino al 1765 l'altare (oggi) di san Francesco, e fino al 1885 l'altare (oggi) della Madonna. In questo anno si pensò di restaurarla, sostituendo ex novo la testa di entrambi, e le mani della Madre. Ma fu un disastro, le teste riuscirono sproporzionate e brutte, per cui fu posta in nicchia dietro la pala dell'altare di S. Antonio. Una volta all'anno veniva portata in processione la seconda domenica di ottobre. L'altare della Madonna fu provvisto di nuova statue. Nel 1927 lo scultore Stuffer fu incaricato di riprodurre esattamente, nei minimi particolari, il pezzo originale e di ricostruire le teste e le mani in stile sec. XVI. Da questo momento, la nuova immagine fu detta della Madonna delle Grazie e collocata nel fornice in fondo alla chiesa. In realtà quindi abbiamo una scultura del 1927 sul canone artistico del sec. XVI L'antico manto di broccato d'oro e d'argento fu trasformato, nel 1939, in preziosa pianeta liturgica.

 

 

LE TELE ORNAMENTALI

 

Sotto questo titolo descriviamo le tele che ornano il presbiterio e l'abside e quelle che riempiono gli specchi incorniciati dagli stucchi nella fascia alta della navata (sec. XVIII). Quest’ultima serie di tele sono <<frammenti>> per la necessità dt accomodarli alle cornici,

 

San Martino all'abside

Pittore Giuseppe Poppini da Schio (1846).

E’ firmata nell'angolo inferiore di sinistra: <<Giuseppe Poppini da Schio fece 1846>>. Di enormi proporzioni. Il dipinto presenta San Martino inginocchiato sulle nubi in contemplazione della Vergine col Bambino che gli viene incontro. Sul lato inferiore di sinistra due angeli in conversazione; un altro che sostiene il piviale del vescovo Martino ed altri due più piccoli tengono la mitria e il pastorale. Altri angioletti fanno corona e corteo alla Vergine Maria.

I colori sono vivaci, la concezione del dipinto è di gusto classico, ma la realizzazione rivela accademismo, eclettismo e perciò risulta un quadro sfocato e freddo. Il soggetto è sacro, ma non è arte sacra; è priva di spiritualità e di energia interiore. Resta il valore dell'esperienza culturale del pittore, in un'epoca di transizione artistica.

 

Martirio di Sant'Andrea

Autore ignoto. Tela di vaste proporzioni in cornice di stucco (sec. XVIII).

Riproduce la morte dell'apostolo su una croce formata ad X. La composizione stringe i personaggi al centro intorno alla croce su cui l'apostolo è legato. Altri personaggi escono dai palazzi, guardano dai loggiati, altri sono visti di scorcio. Certamente la tela fu ordinata su misura. ll valore prospettico e decorativo c'è, ma non sembra dei migliori. Nel 1891 fu restaurato da G.B. Chiocchetti, che stese la tela su telaio nuovo.

Lo stato di conservazione è precario e non consente una buona lettura, né facilita l'attribuzione, che noi applichiamo a Giacomo Pellegrini pittore di Ala. Il Weber  (Ed. 1977). parlando del Pellegrini afferma perentoriamente: <<altri suoiquadri sono nella chiesa di Pilcante>>, ma non indica i soggetti. Sta di fatto però che la famiglia Pellegrini di Ala, col nomignolo betoi aveva <<consuetudine>> con Pilcante.

 

Gesù davanti a Pilato

Autore ignoto. Tela presbiteriale del sec. XVIII di proporzionicome la precedente. Sviluppa il tema: <<Venuta la mattina, gli anziani, legatolo, lo condussero e lo consegnarono al governatore Pilato>> (Mt. 26).

L'architettura circonda e sovrasta i personaggi che si accalcano intorno a Cristo e al trono di Pilato (o Caifa?). Di concezione ampia e drammatica, come ilmartirio di sant'Andrea.

Il quadro fu restaurato nel 1891 da G.B. Chiocchetti. che firmò il contratto del restauro, il 5 luglio 1891, comprensivo di n. 2 tele del presbiterio e n. 6 tele <<poste sotto la balaustra>>. La quietanza di tale lavoro porta la data del 18 giungo 1892. La lettura del dipinto è facilitata dalla buona conservazione dei colori. L'ipotesi dell’attribuzione ci porta al pittore alense Giacomo Pellegrini betoi, che aveva il maso tra Ala e Marani.               

Seguono le <<tele ornamentali>> che occupano gli spazi incorniciati tra le lesene sotto il cornicione. Sono sei tele che misurano tutte circa m. 1.30 x 1.80, ma per adattarle alla cornice di stucco fu necessario rimpicciolirle o mascherarle ai lati.

 

Natale 1°

Frammento di Autore ignoto. Tema: <<Diede alla luce il suo figlio primogenito lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia>> (Lc. 2,7).  E’ stata ritagliata nella parte superiore ed allargata ai lati con il colore marrone. La Madre è leggermente china sul bambino dal quale irraggia tutta la luce. Giuseppe, i pastori e la testa del bue completano la scena deliziosa. Il volto di Giuseppe è simile al Giuseppe del Novarini (altare di San Giuseppe). Per l'attribuzione sarà bene confrontarlo con il Natale di Giambettino Cignaroli di S. Maria Maggiore di Trento. Il colore roseo delle figure, le stesse espressioni di arcadica tenerezza ci portano alla scuola del notissimo pittore veronese.

 

Natale 2°

Frammento di Autore ignoto. Tema: <<I pastori trovarono Maria, Giuseppe e il bambino posto in una mangiatoia>, (Lc. 2). La tela è stata rimpicciolita sui tre lati.

L'angelo turiferario è mutilato.La Madre presenta il Bambino ai pastori in adorazione. Giuseppe è in piedi vigilante. Sul davanti al centro una pecora dormiente. Lo stato di conservazione sarebbe buono se non vi fosse un netto strappo della tela sul ginocchio della Vergine, provocato dall'appoggio fortuito d'una scala a piuoli. L'attribuzione ci porta sulla soglia della bottega del Cignaroli o di Cristoforo Unterperger, che per circa due anni fa con il pittore veronese.

 

Sposalizio della Vergine

Frammento di Autore ignoto. Tema: <<Giuseppe condusse presso di se la sue sposa>> (Mt. 1 ). L'adattamento della tela alla cornice ha nociuto alla parte superiore del velo del tempio e al panneggio delle damigelle in conversazione . La Vergine è in piedi col volto chino, timidamente felice; presenta la mano sinistra a Giuseppe che le infila l'anello e la guarda amorosamente. Il sacerdote barbuto ha in testa la mitria alla giosuè (bicornuta). Lo stato della conservazione è precario, specialmente sul lato sinistro, ove i colori sembrano scomparsi, ma specialmente perché sembra che la tela sia stata impacchettata, con la conseguenza della perdita del colore sulle pieghe. Fu restaurata da ignoto nel 1911, per il prezzo di Cor. 25, (Resa Conti 1912). Per l'attribuzione. come sopra.

 

La Comunione di Pietro

Frammento di Autore ignoto. Tema: <<Questo e il mio corpo dato per voi … >>. (Lc. 22).

L'applicazione alla cornice comportò delle leggere mutilazioni ai panneggi e alla suppellettile (brocca e piatto) dell’estremo angolo inferiore destro. Cristo in piedi, inclinato porge il Pane a Pietro inginocchiato, con le braccia aperte e il viso pieno di stupore. Gli apostoli stanno intorno alla tavola in ammirevole sorpresa. In alcune parti la tela è scolorita. L'attribuzione la lasciamo agli esperti, per non indurre il lettore a pensare che il Comitato pro chiesa nuova di San Martino abbia sbancato la bottega o la scuola del Cignaroli; ma anche perché ci sembra che vi siano delle analogie con la consegna delle chiavi a Pietro di Giacomo Pellegrini betoi, esistente nella chiesa di Isera.

 

Cristo deriso

Frammento di Autore ignoto. Tema: <<Lo schernivano, lo percuotevano e bendatolo interrogavano: indovina chi ti ha percosso? >>(Lc. 22). L'affissione alla cornice comportò l'aggiunta di due listelli laterali coloriti di marrone. La scena è vigorosissima per la presenza di chiaroscuri che mettono in evidenza le membra, l'armatura del soldato. Cristo è seduto e bendato, appoggia sul ginocchio sinistro le mani legate ai polsi. La testa è piegata in avanti, come uno che ha pazienza, che attende il risveglio della coscienza umana. L'attribuzione sarà facilitata dopo una adeguata pulitura.

 

Madonna e Santi

Frammento di Autore ignoto. Tema: <<Tutte le generazioni mi chiameranno beata>> (Lc. 1). Il quadro è stato depauperato ai lati. Presenta la Madre con il Bambino; lei guarda verso destra incontrandosi con lo sguardo d'un Santo, il Bambino si protende verso sinistra, come per baciare sant'Antonio. La luce dorata si diffonde a raggiera dall'aureola della Madre. Nella parse inferiore, un angelo emerge dalle nubi, reggendo un calice con l'Eucaristia. L'abito del Santo che contempla la Madonna potrebbe essere del frate minore conventuale, ma anche di un agostiniano.

L'attribuzione, per lo scrivente è inferiore all'ipotesi; tuttavia la stessa tematica è presente in Giacomo Pellegrini, nella parrocchiale di Serravalle. Per inciso esprimiamo il nostro rammarico, perché la letteratura artistica trentina non conosce nessuna tela settecentesca del san Martino di Pilcante.

 

La Via Crucis

Comprende i quattordici quadretti d'Autore ignoto (1778). Sono fissati alle cornice di stucco, sulle lesene. La tematica è quella classica, perché la pia pratica, nel Trentino, era fissata già nel 1716‑18. La composizione del disegno è buona, ma i colori sono scarsi e freddi. Vi si notano gli indizi della fretta o del dilettantismo. L'attribuzione potrebbe risultare veritiera confrontando le caratteristiche del disegno e dei colori, delle fisionomie e dei panneggi con le Vie Crucis di Cavedine, Meano, Roncone...

L'erezione risale al 3 maggio 1779, ma fu ripetuta nel 1781. Ciò è comprensibile se si distingue la <<licenza>> di erigere dalla <<erezione legittima>>. La prima equivale ad un permesso, che spetta al Vescovo diocesano, la seconda spetta per privilegio pontificio ai frati minori (zoccolanti). Nel 1781, oltre la licenza vi fu anche la delega del Ministro provinciale dei frati minori.

 

 

GLI AFFRESCHI

 

Pittore Orlando (Fattori?) sec. XVIII. Occupano tutta la volta del presbiterio e descrivono la gloria della SS.ma Trinità. Nel centro la colomba dalla quale si diffonde la luce; il padre è seduto e tiene lo scettro nella mano sinistra anche Cristo è seduto sulle nubi e regge il vessillo della gloria (risurrezione). Tutt’intorno angeli di grandezza decrescente. Sorprende la somiglianza con gli affreschi nella chiesa della Madonna del Monte, presso la quale la Famiglia Tacchi ha il mausoleo.

I quattro evangelisti completano la decorazione della volta. Ognuno tiene in mano il libro e la penna nell'atto di scrivere. ll volto di Giovanni è rivolto al cielo, quello degli altri è rivolto progressivamente verso l'orizzonte, San Marco guarda il libro.

L'attribuzione cade senza dubbio sul pittore Orlando, perché sotto questo nome viene pagato, nel 1744 e nel 1746. Il Libro spese riferisce: <<Adì 26 ottobre (1744) al Pittore per il quadro di S. Martino nel cimiter tr. 221:‑ >>. Di questo lavoro però non resta traccia. E: <<Adì 28 settembre (1746) fatti li conti col S: Orlando Pittore e pagati tr. 135:‑ Item Adì 19 ottobre (1746) per saldo d'ogni pretesa del S: Orlando Pittore datti in uva tr. 7:18>>. Ogni indizio ci porta al pittore di Desenzano Orlando Fattori (1692‑1765).

 

 

 

SCULTURE IN LEGNO

 

Ci riferiamo in particolare alle statue di san Giuseppe e san Pietro situate in nicchie dietro l'altare maggiore, di grandezza naturale. Furono acquistate entrambe nel 1874, per la munificenza della Contessa Maria Teresa Melchiori sposata Eccheli di Pilcante. Non siamo saliti per scoprire l'Autore, ma certamente sono d'origine gardenese.

San Giuseppe tiene in braccio il Bambino benedicente ed il giglio simbolo d'innocenza. San Pietro, pure in legno dipinto, tiene le chiavi nella mano sinistra simbolo di giurisdizione e con la destra distesa indica il cielo.

Della statua della Madonna sull'omonimo altare abbiamo già detto.

 

 

ORGANO E CANTORIA

 

Di Innocenzo Cavazzani da Avio (1788). Occupa la cantoria sopra la porta d'entrata. L'acquisto dell'organo e della artistica cassa è testimoniato dall'atto notarile di Pietro Eccheli di Pilcante, che stese l'atto di estinzione del debito, il 4 novembre 1788. (cf. Studi Trentini di Sc. St. A. 51 (1972), n. 2). La cassa fu costruita in collaborazione con lo zio. In origine fu collocato sulla parete meridionale della chiesa e vi si accedeva tramite una scaletta dall'atrio (porteghet). Nel 1888 furono spesi f. 30 per la pulitura e l'intonazione.

Su progetto dell'ing. Emilio Paor di Trento, nel 1912 l'organo fu trasportato, costruendovi intorno la cantoria. Vi si accede con una scala a chiocciola di ferro. L'intera operazione comportò la spesa di Cor. 12.000, con il lavoro della Ditta Parmesani, della Falegnameria Bosin di Trento e della Casa Organaria Vegezzi‑Bossi di Torino, che ampliò la parte fonica. Nel 1942 fu acquisitato un organo liturgico nuovo dalla Casa Balbiani‑Vegezzi‑Bossi di Milano e collocato dietro l'altare maggiore.

Per completare il nostro panorama sul patrimonio artistico e storico della chiesa di San Martino, diremo ancora che il fonte battesimale risale ancora al San Martino Vecchio, eccetto il coperchio in legno; che l'altarino in legno dorato e dipinto della Madonna delle Grazie è lavoro della vecchia falegnameria Eccheli‑Belini di Pilcante (1927); che le pietre tombali visibili nel pavimento si riferiscono alle Famiglie Gardumi di Pilcante, Bresavola di Pilcante, Eccheli, quella riservata al clero, nonché quella comune. I banchi sono in noce e furono lavorati a Rovereto (1880).

 

CARLO SARTORAZZI (ofm)    

 

 

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