Testo fisso

 Per la politica dell'ambiente                                   Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso! Guevara                                          

Quei giorni dei Morti di 68 anni fa

 

Il contesto.

Tra qualche giorno l' anniversario del primo bombardamento su Ala riporterà i non più giovanissimi indietro di 68 anni .

 

Era  l'avvio di quella che in gergo militare fu definita l'operazione BINGO, la distruzione della rete elettrica e l'interruzione della linea ferroviaria Innsbruck – Verona, nell'ambito della più vasta e complessa operazione STRANGLE iniziata nel febbraio marzo dello 1944  mirante a scardinare la rete logistica di trasporto dell'esercito Tedesco in Italia.

 

Ininterrottamente  sino al 30 aprile del 1945, poche ore prima della fine delle ostilità in Italia, si susseguirono le incursioni aeree sullo scalo ferroviario della nostra e delle altre località poste sulla linea del Brennero  dotate di sottostazioni di trasformazioni , di scali ferroviari importanti  con i  ponti , i viadotti, le gallerie i depositi   e  ogni piccola parte di territorio  nel quale  sopravviveva  ancora una traccia di binario sul deserto reso lunare dai bombardamenti.

Le formazioni di bombardieri medi bimotore quasi sempre operativi di primo mattino, si alternavano con quelle dei cacciabombardieri insidiosi nel pomeriggio e anche se il risultato di scardinare il sistema di trazione elettrica per  costringere la Wehrmacht a ripiegare su quella a vapore, meno potente e più lenta, fu conseguito in brevissimo  tempo,  questo non portò né alla cessazione  né alla rarefazione delle incursioni.

 

Ala viveva, come il resto del Paese il dramma dell'occupazione.

Il Trentino Alto Adige divenne Provincia del Reich  con  la conseguente totale perdita di una legislazione autonoma.

Il tessuto sociale era disintegrato, non meno di 200 uomini delle varie classi di leva risultavano   deportati in Germania o  prigionieri di Guerra degli Alleati  e ancora   reclutati dalle organizzazioni  tedesche quali la Todt o la Speer per lavori di sgombero, ripristino e fortificazione.

Altri i più giovani erano arruolati nel Corpo di Sicurezza Trentino  (CST) sostitutivo  della leva ordinaria  e con funzioni di Polizia antipartigiana,   infine  alcuni vennero  inquadrati nelle batterie della Flak,  (l'antiaerea Tedesca).

 

Gli sfollati

 

La consapevolezza, ben presto acquisita, che Ala costituiva un importante obiettivo per i bombardamenti alleati provocò nella popolazione l'urgenza di ricercare alternative alla vita cittadina.

Le donne i bambini i vecchi , gli ammalati furono allora  sfollati da parenti in località decentrate quali la Vallarsa  e  il Bleggio,  ma la maggior parte si riorganizzò ben presto in  una seconda Ala  trasferitasi ai Ronchi dove   con gli abitanti migrò  anche l'ospedale civile  allora gestito dai Padri Camilliani ; seguì anche la scuola o  quanto di essa sopravviveva  dopo l'occupazione da parte della Wehrmacht dell'edificio scolastico;  l' anno scolastico   ebbe quell' anno  per la gioia degli alunni  un vacanziero svolgimento.

 

Circa 1.200 persone in maniera continuativa o saltuaria avevano stabilito nella frazione  la  loro residenza.

 

Una migrazione  a pochi chilometri di distanza dalle proprie abitazioni d'origine   appesantita però dall'angoscia per i familiari dispersi dalle vicende belliche nei cinque continenti, per la preoccupazione rivolta  alle povere risorse lasciate  in balia delle bombe alleate e delle requisizioni Tedesche , sopportando  in maniera spesso disumana le privazioni e  le sofferenze  di un' economia di guerra, subendo  i quotidiani disagi  di una affollata coabitazione in una località già endemicamente povera che vide triplicarsi la popolazione,  in una  promiscuità tra uomini e animali che aggravava  la  già precaria  e compromessa situazione sanitaria .

 

Va dato incontestabile atto alla popolazione dei Ronchi per la  generosità, disponibilità, solidarietà e affetto,  per aver ripartito  con prodigalità le poche risorse  disponibili e condiviso  con questa massa di sfollati , non tutti di Ala,  disagi e  sofferenze  stabilendo  non di rado un'  amicizia perpetuatisi  anche dopo il ritorno alla normalità.

 

La provvidenziale distanza dello scalo ferroviario dal nucleo urbano, il ricorso ad un bombardamento “mirato” e non indiscriminatamente a tappeto”, l'uso di bombe non mostruosamente distruttive e anche una certa qual buona sorte , hanno contribuito a risparmiare ulteriori sofferenze e  lutti alla popolazione e al Centro Abitato.

Nessuna bomba colpi mai le abitazioni civili , ma questo non allentava lo stato di  paura per una guerra che nessuna aveva mai immaginato potesse assumere connotazioni di tale violenza.

Una vittima civile dei bombardamenti in effetti vi fu, una sola fortunatamente e anche questa per una sottovalutazione del pericolo. Si racconta che un contadino , “ El Capuso” incurante degli avvertimenti e dei richiami si ostinasse a rimanere all'aperto intento al lavoro del proprio campo e così..........

Ma queste sono considerazioni a posteriori, allora la paura era continua palpabile, visceralmente dolorosa e razionalmente non controllabile. La risposta più istintiva si indirizzava nella naturale ricerca di un riparo.

 

I Busoni

  

Ma dove? I rifugi erano “privilegio” delle grandi città, le abitazioni risultavano inadatte  a sopportare la tecnologia distruttrice, i ripari naturali erano pochi e mal localizzati.  E allora  ?

 

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Ai Busoni, quelle quattro orbite vuote che complici le “Bonifiche  agrarie” hanno rifatto capolino dopo oltre 40 e più anni,  lassù alle prime pendici del monte Corno, sopra il Maso del “Pozza”, la casa Rossa . Proprio li dove finisce il “vigneto” e incomincia il bosco, in uno scalino naturale si trovano i Busoni.

Scavati ancora nella prima Guerra Mondiale dall'Esercito Italiano, in fretta, per ovviare alle carenze difensive che l0 offensiva Austriaca  del Maggio del 1916 ( definita a posteriori Straffexpedition) aveva messo in evidenza nel dispositivo militare Italiano.

 

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Contemporanei  dei “Busoni” della Sega di Ala , ( delle cose  frettolosamente allestite e mai ultimate si impossessa  inevitabilmente la vulgata corrente con una toponomastica semplice  e di   immediata identificazione ),  del Trincerone di Marani e di  quasi tutte le opere militari iniziate e  fortunatamente non  sempre ultimate perché inutili, quali strade e altre caverne (Stoll), che disegnano e contrappuntano ancor oggi  le nostre montagne.

 

Quelli del  Corno sono quindi  i Busoni per  antonomasia .  Furono immediatamente identificati come riparo , non proprio vicinissimi al Centro abitato, molto meno dell'unico rifugio , o tale era considerato lo scavo in roccia , ubicato  presso le Vasche  oltre la Villalta sulla strada che porta ai Masi della Parrocchia.

 

Gli allarmi si susseguivano giornalmente  senza pause , al punto che molte persone o interi nuclei familiari, sbrigate le poche faccende della mattinata , compiuto approvvigionamento con le magre razioni delle Carte Annonarie, prendevano  la via del Corno, “ el senter dei cannoni” , un angusto tratturo ora ingoiato dal bosco  che prendeva avvio all' imbocco della strada del Tambuset,  e lì  trascorrevano  la giornata , chi all'interno , chi nelle immediate pertinenze.

 

L'incipiente inverno  - uno dei 4 inverni più freddi del secolo fu proprio quello del 44-45 - gli indumenti inadatti, le fonti di riscaldamento inadeguate portarono  ben presto alla drastica riduzione delle frequentazioni.

Le difficoltà di adattamento ebbero  alla fine il sopravvento anche sugli ultimi irriducibili.

Commisurati i costi con  i benefici di quella quotidiana escursione in quota, ben presto quasi   la totalità di quanti  arrancavano  sino a qual momento verso i Busoni, preferì  a questa sicurezza disagevole e faticosa , le poche , insicure ma familiari comodità .

 

Molti erano  uomini  impiegati nei lavori di ripristino della ferrovia, non tutti reclutati a forza e quanti lo erano appartenevano alla categoria dei prigionieri di guerra: Russi, Polacchi, Bulgari (dopo la defezione della Bulgaria dall'alleanza con il Reich) e  la necessità  di questi di ritornare alle proprie famiglie  fu un incentivo ad abbandonare i rifugi. Esigenze pratiche quindi ma  anche  un richiamo affettivo.

Testimonianze raccolte raccontano che molto spesso, il turno di il lavoro che iniziava alle 8 veniva interrotto dal suono della sirena d' allarme  e mai più ripreso sino al pomeriggio (incursioni permettendo) o al giorno seguente.

 

Oggi e …..domani

 

La congiuntura climatica, il recupero agrario di  zone  sino ad ieri   abbandonate, ci hanno riconsegnato la vista dei Busoni, consentendo  ad un pezzetto della nostra storia di ritornare a farci  visita e offrirci una testimonianza del passato.

 

Piace fantasticare che in quanto giunge dal nostro  recente passato sia racchiuso   un richiamo agli Amministratori  per una maggior attenzione  nel rinnovare la Memoria  e distogliere le attenzioni dalla consuetudinaria routine promuovendo  la  conoscenza di questo dimenticato luogo.

 

Magari  nell'ambito delle sontuose cerimonie per l'anniversario della Grande Guerra da tempo  in fase di allestimento  sul Territorio Trentino,  un piccolo momento per una riflessione ci verrà dispensato.

 

Ancora un'opportunità per la nostra Amministrazione di ricordarsi di questa piccolissima testimonianza nascosta  nell'anfratto della nostra  storia in gran parte rimossa e che vorremmo pensare affidata a mani feconde.

 

Ma lo sconforto  che ha accompagnato  il procedere  incerto verso il recupero e la valorizzazione di questa  come di  altre memorie, non lascia molto spazio alla speranza.

 

“Il vantaggio della poca memoria è poter godere più volte delle stesse cose per la prima volta”

( Nietzsche)

 

Cordialmente

Luciano Rizzi

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