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Gli statuti degli uomini di Pilcante - 11 giugno 1374

 

 

Presentando la traduzione italiana dal latino degli Statuti degli uomini di Pilcante, dell' 11 giugno 1374, provo una sensazione mista di venerazione e di pena. La proveranno anche quelli di Pilcante, leggendo, soprattutto coloro che si sono sganciati dal lavoro della terra per dedicarsi all'industria o alle varie professioni e gli attuali agricoltori che hanno adottato la meccanizzazione o la coltivazione razionale. Il balzo che facciamo nella storia è enorme e non è facile ricostruire la vita dei nostri antenati, anche se questi Statuti agiscono potentemente sulla nostra fantasia.

 

Ciò vale, evidentemente, per la generazione dei giovani che non sanno cosa significa vivere esclusivamente del bosco e della campagna di Pilcante. I vecchi, invece, gli anziani e tutti quelli che hanno ricercato di che vivere tagliando la legna di Costasolera, della Biolca, dei Giazeri o delle Pale o che hanno strappato il grano e l'uva alla terra sempre riarsa della Strada storta, dei Soarini, delle Semure o della Valdasera o anche dei Remoni, prima che l'Adige fosse arginato, sono facilitati nella comprensione di quello che hanno provato “gli uomini di Pilcante'' in quel lontano medioevo.

 

Per difendere le loro già grame proprietà sono dovuti ricorrere agli Statuti, che se da una parte rivelano una maturità civica non comune, dall'altra fanno capire che troppi abusi venivano perpetrati, a causa della miseria. La giustificazione degli Statuti viene detta esplicitamente: << cum multa enormia. . . tota damnosa comuni diu noctuque committantur in campanea precipue et in ipso quoque rure Pilchanti >>. Se non fossi di Pilcante e perciò solidale con gli antenati, sarei tentato di dire che per poco non ci doveva scappare anche qualche morto. E’ verosimile però che anche altrove le cose non fossero molto migliori. La colpa era tutta della fame e quando si ha fame, prima si va su quello del comune, poi—sit venia verbo—anche su quello dei privati.

 

Gli Statuti, senza dubbio, sono stati sollecitati da quei pochi che possedevano la terra e i boschi e che perciò venivano derubati e da quelli che dovevano pagare le decime ai Castelbarco. Per questi, le multe costituivano un modo decente e spiccio per raccogliere 1'equivalente delle decime. Ad autorizzare l'iniziativa e ad avallare l'istrumento è stato Alberto di Castelbarco, marchese di Pilcante, che abitava nel Castello d'Avio. Non è il caso qui di fare l'analisi della dinastia dei Castelbarco m. mi piace mettere in evidenza una cosa che non è condivisa dagli scrittori di cose castrobacensi. Ed e questa. Nel documento si legge: << nobilem virum dominum Albertum q. egregii et potentis domini Gulielmi de Castrobarco >>. La lettura più ovvia è quella di ravvisare nel1"<< egregio e potente signore Guglielmo >> quello stesso Guglielmo che il 13 agosto 1319 fece testamento e che gli storici ritengono la figura preminente di tutta la dinastia, e che Alberto sia suo figlio. Il quondam è il termine classico per indicare la discendenza diretta da padre in figlio. Stando a questa testimonianza, non ci si rende conto facilmente come possano gli storici affermare che Guglielmo di Castelbarco sia morto senza figli ed abbia lasciato tutto ai nipoti. Questa, naturalmente, non e una dimostrazione apodittica, specialmene a riguardo della trascrizione dalla pergamena, assai imperfetta, ma può essere una citazione che ha il valore di  “spia”.

 

Il sacerdote, che ha avuto la soddisfazione di constatare la buona volontà dei Pilcantesi e il livello civico e di fare da testimonio alla firma del prezioso documento, è Antonio del fu Giacomino da Mantova. E il primo sacerdote che s'incontra nella storia religiosa di Pilcante. Il massaro o capocomune della villa è Benasuto del fu Alessandro, di Pilcante. Il notaio, invece, è Giacomo Bianchi del fu Bartolomeo, di Padova. Da quanto pare, questo notaio era assunto in pianta stabile da Alberto di Castelbarco, perché abitava con lui nel Castello d'Avio.

 

Senza entrare in altri particolari, desidero sottolineare che con << Gli Statuti degli uomini di Pilcante >>, il nostro paese, a diffeenza di altri, ha la possibilità di riempire dignitosamente un periodo storico, che altrimenti sarebbe tutto vuoto. Se ben analizzati, da soli, riempiono la Storia del sec. XIV dell'antica << villa di Pilcante >> (cfr. A. Segarizzi, Statuto degli uomini di Pilcante in Tridentum, anno VI (1903), fascicolo V, Luglio).

P. CARLO SARTORAZZI  ofm     

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