Testo fisso

 Per la politica dell'ambiente                                   Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso! Guevara                                          

1925 ad Ala apre la filanda Danese.

 

Domenica agricoltore 1928 Filanda Cernita bozzoli

 

Ala prima città redenta e prima dimenticata” sussurravano gli alensi nei primi anni dopo il 1918. I nostri concittadini sfiduciati e impoveriti, erano alle prese con enormi problemi quotidiani aggravati dal rientro dei profughi e dei reduci e dalla scarsa conoscenza della realtà locale da parte delle nuove autorità italiane.

Bastano alcuni dati: la popolazione che nel 1911 era di 5.283 abitanti (Ala Ronchi e Marani) ora contava mille persone in meno, l’emigrazione restava l’unica scelta ai crescenti disoccupati: ben 60 famiglie in due anni emigrate in Francia (in 8 anni la Francia accolse 12.097 trentini, lo stesso numero delle intere Americhe)*; i beni di prima necessità scarseggiavano per colpa dell’agricoltura in ginocchio, e ancora nel 1920 i prezzi degli alimenti più importanti sorpassavano quelli di Rovereto, dove vigeva ancora la Corona mentre ad Ala correva la Lira già dal 1915.

La mancanza cronica di lavoro, inevitabile causa il declassamento di Ala da stazione di confine a semplice comune del Regno d’Italia, colpiva tutte le classi sociali e in particolare chi aveva svolto mansioni generiche e poco specializzate (carrettieri, fattorini, manovali) legate ai cessati Servizi di Dogana.

Le industrie erano poche anche prima, figurarsi adesso. Di rilevo la ditta Giberti Galetti con 70 persone che producevano calce e laterizi rifornendosi in Lessinia di calce purissima. La stessa famiglia Galetti costituiva la LEA Legnificio Elettrico Alense per la costruzione di cassettine di legno per uova e verdura con 80 giovani. Grande speranza aveva suscitato la Squadra Rialzo con l’Officina Ferroviaria, concessa a riparazione dello spostamento della Stazione Internazionale, dove lavoravano 200 persone di cui 70 di Ala, questi ultimi con mansioni di manovali senza alcuna specializzazione. Tali iniziative non sopravvissero alla grande crisi del 1929. Completavano l’offerta i lavori temporanei dei Consorzi Bonifica, nelle macere tabacchi e nel raddoppio dei binari tra Ala e Borghetto.

 

Fornaci Giberti Galetto

Fabbrica calce e laterizi Giberti Galetti - attiva fino al 1930 circa

 

Tra speranze deluse e iniziative mai decollate (una nuova fiera per il bestiame, industria Tessile Moroni fallita prima di iniziare) il sen. Carbonari incontrava nel 1924 le istituzioni comunicando che il Consorzio Serico Trentino appena costituito aveva l’intenzione di costruire ad Ala una filanda con 60 bacinelle ritenendo i nostri bozzoli fra i migliori del Trentino. Però l’investimento doveva essere coperto per metà con risorse locali pari a Lire 250.000, che purtroppo il Comune non disponeva nonostante l’avvio di una sottoscrizione popolare cui aderì anche la Cassa rurale.

Nel frattempo la Giunta avviava contatti con l’industriale veronese Alfredo Danese che gestiva una filanda a Bussolengo fin dal 1896 dando lavoro a 50 donne delle quali 21 minorenni. Era stato sindaco della sua città durante la guerra tenendo aperto il l’opificio mentre molti altri chiudevano. Trattative veloci, tantoché il 18.4.25 il Consiglio comunale deliberava di cedere all’industriale Danese 9.000 mq di suolo comunale, togliendolo dalla destinazione abitativa poiché, essendo la popolazione diminuita del 20% con molte case disabitate, non c’era necessità di costruire. Inoltre il Comune offriva gratuitamente da 200 a 300 ettolitri di acqua mentre il Comitato promotore consegnava quanto raccolto in precedenza da destinare alle spese di costruzione. Un bell’incentivo non c’è che dire.

 

Inaugurazione Filanda Danese posa I^ pietra

27 maggio 1925 posa della prima pietra della Filanda

 

L’inaugurazione - Festa di fede patria e lavoro (dal Nuovo Trentino del 4.6.25)

L’amministrazione comunale voleva dare un segnale e colse l’occasione del 27 maggio, proprio nel decennale dell’entrata in Ala degli Italiani, per organizzare la posa della prima pietra. Un grande corteo alle sei del pomeriggio partì dal Piazza San Giovanni fino al Viale dei Giardini (ora 4 Novembre) preceduto da tutte le associazioni alensi con la Banda nella sua nuova uniforme. Arrivati sul posto, il commissario Lino Sartori lesse la pergamena di cessione del terreno che, sigillata in una bottiglia, fu messa in una fossa a ricordo futuro. Sul palco Alfredo Danese con i figli Emilio e Tullio, e Francesco Morandini, instancabile promotore dell’iniziativa. Durante la benedizione don Santo Perotto, fervente nazionalista, rimarcando la profonda fede cristiana del sig. Danese affermò che “se saranno presentate persone buone saranno accettate, se saranno cattive, non saranno accettate.” Più chiaro di così!

 

Alfredo Danese

Alfredo Danese

 

filandaie Bussolengo Danese

Filandaie ditta Danese di Bussolengo

 

Il progetto fu affidato al concittadino prof. Luigi Dalla Laita, e durante i lavori una cinquantina di ragazze ( molte di soli 14 anni) affrontarono un apprendistato a Dossobuono per essere pronte un anno dopo. Il lavoro, annunciato dalla sirena, era molto duro per 6 giorni, non esistevano ferie, la malattia non era pagata e di sicurezza non si parlava. Nella filanda Danese il processo di lavorazione, che iniziava con l’essicazione dei bozzoli ricavati dai bachi nel periodo aprile-giugno, avveniva mediante inserimento degli stessi in un cilindro rotante soggetto a un potente gettito di acqua surriscaldata. Ultimata quest’operazione, il bozzolo era posto a macerare in acqua molto calda all’interno di una bacinella e scosso da una lavorante che, con le man sempre immerse nell’acqua calda doveva trovare il capo del filo di seta, passandolo poi alla “filiera”. L’occupazione, seppur stagionale per 4/5 mesi arrivò fino a 100 persone.

 

Testimonianza di Amalia Veronesi di Sdruzzinà deceduta ultracentenaria qualche anno fa e raccolta da don Giampaolo Giovanazzi nel suo libro “Al traguardo dei cento anni”:

 

Amelia Veronesi

 Veronesi Vicentini Amelia classe 1911 ultracentenaria

 

Nel 1926 – avevo allora 15 anni – sono andata a lavorare alla Filanda e per imparare mi mandarono qualche mese alla Filanda di Dossobuono in provincia di Verona. Il padrone della filanda era il sig. Danese, un uomo severo ed esigente con le operaie. L’acqua da dove si estraeva il filo di seta dei bozzoli, doveva essere bollente. A volte il padrone stesso passava e provava con le dita e, se la temperatura si era abbassata, ci faceva aggiungere altra acqua bollente. E naturalmente si applicava una multa. Anzi, siccome si lavorava a cottimo, se a fine giornata non si era arrivati al peso previsto, si riceveva la solita multa.

Il lavoro poi era pesantissimo. Sempre con le mani nell’acqua bollente, si doveva prendere un filo alla volta dal bozzolo passandolo su una matassa che ruotava sopra la fila delle caldaie e lo avvolgeva in bobine. Anche qui, se il filo si rompeva, occorreva fermare la catena…ed era ancora una multa. Per fortuna che alla fine dell’anno, con i soldi delle multe messi da parte, il padrone comprava una grossa quantità di carne e la ripartiva tra le operaie.”.

La filanda spandeva i suoi benefici sul mondo contadino che con il baco da seta completava un ciclo economico formato dal tabacco, il frumento, il mais e infine la vite. In quegli anni gli allevatori di bozzoli nel mandamento di Ala e Avio erano ben 1.151 (25.000 in tutta la provincia – un bel numero)*

 

filanda di Ala

Una rara immagine delle operaie di Ala

 

L’attività, pur in forma ridotta e con la pausa della seconda guerra mondiale, continuò fino alla fine degli anni quaranta, senza particolari stravolgimenti organizzativi come ricorda la concittadina Fenner Elda allora quattordicenne. I bozzoli venivano consegnati in luglio ricevendo subito il pagamento. Molti contadini si rifornivano di semenze ai Brustolotti per un ciclo che durava 40 giorni e tra loro girava il proverbio “Chi vòl na bona galeta (bozzolo) de San Marc i la meta”. Tra i pochi uomini occupati c’erano i caldaisti fratelli Delpero Fernando ed Ottorino e Giovanni Debiasi “pilota” (poi custode alla Slanzi). L’arrivo delle fibre sintetiche mise in crisi le filande non solo ad Ala ma anche a Bussolengo dove lo stabilimento Danese sopravvisse fino al 1957.

L’amministrazione comunale si attivò subito per portare nella ormai ex filanda un’industria in grado di dare lavoro ai tanti disoccupati di quel difficile periodo, cercando iniziative capaci di offrire una indispensabile professionalizzazione dei giovani. Dopo vari contatti e una visita del sindaco Aldo Debiasi a Novellara proprio nel giorno di San Valentino, il Consiglio comunale nell’autunno del 1950 deliberava l’acquisto della Filanda Danese al prezzo di circa quindici milioni da destinare alle Officine Slanzi. Ma questa ormai è un’altra storia.

Quale richiamo resta? Ben poco, nemmeno una piccola targa sul fabbricato che per un quarto di secolo procurò lavoro. Altre città ricordano adeguatamente la loro Filanda.

 

Slanzi filanda

Slanzi, ex Filanda

 

Via Filanda

Bussolengo ricorda la sua filanda

 

Foto di Enrico Brusco – notizie da Biblioteca Comunale Ala e Bussolengo – Archivio personale – Famiglia Vicentini Giuseppe.

*Aspetti Economia del Trentino –dati statistici 1927-1929

 

Azzolini Mario

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