Testo fisso

 Per la politica dell'ambiente                                   Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso! Guevara                                          


farfalla-bruco 800x509           "FIGLI di un DIO MINORE"

 

A quelli che sono stati, non  vediamo e probabilmente dimenticheremo

 

La coda di ogni festa è inevitabilmente la malinconia.  Per qualche dimenticanza, per un umano rimpianto, per la stanchezza, per il dover ricominciare , per i bilanci  e le considerazioni che ciascuno fa.

 

Risuona ancora l'eco della manifestazione  ma tutto è ritornato nella quotidianità, le vie i cortili i palazzi, gli androni, tolti gli addobbi, rimosse le luminarie, accantonati i decori e smantellate le scenografie, ritorna il ritmo dell'ordinarietà. Si potrebbe quasi dire che ritorna la democrazia. Il palazzo celebrato si mostra nella sua decadenza, uguale al vicino da troppo tempo dimenticato, le corti animate si richiudono  non diverse da quelle ormai perennemente buie, la facciata privata del sapiente gioco di luci, mostra le crepe, l'intonaco cadente, la finestra sghemba come il dirimpettaio da sempre non considerato e il monumentale portale ora chiuso mostra gli inesorabili segni del tempo e dell'incuria del tutto simile allo sfortunato vicino, pietosamente coperto e mimetizzato perchè le ferite e i danni del tempo non facciano sfigurare l'effimero fulgore del più fortunato.

 

Palazzo Malfatti di via Torre, uno spettrale Alcazar – dei poveri – una costruzione tetra, chiusa allo sguardo, muta di rumori diversi dai cigolii di una struttura che trema, appoggiata malinconicamente al pericolante edificio che fa angolo con via Carrera: uno zoppo che si appoggia ad un ubriaco, due macilenti esseri legati fisicamente alla stessa sorte, il risanamento dell'uno passa attraverso il recupero dell'altro, ma la caduta di uno sarà la fine per entrambi.

 

Nessun progetto di recupero , nessun futuro, nessuna prospettiva di vedere riconsegnati due immobili di pregio che da soli tratteggiano lo stile di una via ma sempre presente il timore di una loro implosione rumorosa quanto lo scaricabarile  e il rimpallo di responsabilità tra soggetti vari tutti ovviamente non responsabili.

 

Palazzo Malfatti, o anche Pietro Malfatti,  di un ramo secondario della nobile famiglia è tuttora una monumentale costruzione che si estende in altezza dalla Via Torre  sino alla via Nuova con sette ordini tra soffitte e cantine profonde;  un palazzo che per quanto sventrato  sul finire degli anni 50 per destinarlo ad abitazioni civili dall' allora proprietario ECA, mantiene ancora leggibile la complessa struttura che a differenza delle altre similari residenze si prospettava a nord e a sud con due ancora imponenti facciate, con cortili interni suggestivi, con un loggiato e mascheroni, con il grande salone affrescato, già sede della locale SAT per molti anni, l'ampia scalinata che conduceva al piano nobile che si allargava poi  nelle grandi sale poste a nord con scene di caccia nascoste da strati di moderna tempera . Un palazzo nel quale la tecnologia si affacciava per rendere  ancor più confortevole la residenza invernale. E'...era infatti presente un impianto di riscaldamento ad aria calda ( una novità per Ala)  con centrale termica a legna   ubicata nella parte  bassa prospiciente un profondo cortile interno.

 

Un “ortus Conclusus” come andava di moda allora,  del tutto simile a quello del vicino palazzo Pizzini/Temenuska, un piccolo spazio raccolto, fresco e ombroso, lontano da sguardi indiscreti, un angolo compiacente  e suggestivo avvolto  da fantasiose complicità.

 

Un susseguirsi di cantine che sprofondano nella Via Nuova, lavanderie, depositi, ampi magazzini, una panoramica terrazza, aggiunta di recente e le immense soffitte  rese abitabili per la servitù con la  pregevole struttura lignea del tetto. Questo era Palazzo Pietro Malfatti donato alla Città per scopi filantropici e la città o meglio le sue amministrazioni riconoscenti.......posero.

 

Posero una lapide al Matematico Malfatti a fianco di un poggiolo sbrecciato e due monconi di travi in ferro,  posero i sigilli al grande portone depredato  perfino della maniglia, rinchiusero  un pezzo di storia in attesa che il tempo , altrettanto lento nell'assumere le decisioni quanto i nostri amministratori, ne sancisse la fine evitando impraticabili scelte. Come gli dei, stanchi di discutere con gli uomini, concessero infine l'oblio.

 

Ne dimenticarono finanche l'esistenza proclamando la “Damnatio memoriae”, cancellandolo da  dépliant, brossure, locandine, cartoline, evitandone la citazione. Qualcosa di cui vergognarsi, da ricoprire invece di mostrarlo in tutta la sua decadenza per denunciare con un atto di orgoglio, le colpe della pubblica amministrazione, per richiamare l'attenzione della proprietà, dei referenti responsabili della conservazione, per sollecitarne la salvaguardia.

 

I tempi sono difficili, le risorse  flebili, ma anche la volontà  di mantenerne viva la memoria con iniziative di basso profilo finanziario è  al lumicino.

 

Di molte cose è sufficiente in qualche periodo della vita o della loro storia mantenerne il ricordo, conservarne il vissuto, non disperderne il patrimonio di suggestione  che del passato ancora conservano, è sufficiente parlarne, mostrare, ricordare ed evocare assieme perché il   “Genius loci” non abbia a svanire per sempre.

 

Vaniloqui, può darsi, ma la perdita della memoria è il primo degli atti che possono portare alla distruzione del bene. Ricordarsi di questo Palazzo è ricordare non solo un pezzo della sua storia ma anche quella di altre realtà forse minori e non altrettanto significative che formano il tessuto della città.

 

Nelle ricorrenze tristi, molti  rituali celebrativi prevedono di chiamare  a voce alta  il nome di chi non è più; per un istante ritorna ad essere presente ma soprattutto si fissa nel tempo e dentro ognuno di noi  il suo ricordo.

 

E allora ricordiamoci. L'amministrazione si ricordi anche di:

 

Palazzo Pandolfi  , l'ex Convitto, affidato alla buona cura della PAT e alla comprensione e rispetto dei progettisti,

 

le case , recentemente acquisite dal Comune a ridosso del Municipio che il Pizzini ricordava come “.........quel palazzotto e tutte quelle case di Giambrunone Taddei”,

 

Palazzo Sartori spesso confuso come dependance di Palazzo Malfatti,

 

l'interessante residenza con notevole portale in via Ospedale Vecchio,

 

e ancora la Casa Garelli, l'ex Ospedale in via del Sentaruolo, il cortile della casa Comunale, il grande edificio e cortile già sede della Guardia di Finanza in via 27 maggio menzionato da Heine come locanda con cambio di cavalli.

 

E infine gli affreschi o meglio quel che resta di essi, i capitelli , i pochissimi manufatti di pregio  salvati dalle razzie anche  recenti e dei quali si conserva gelosa memoria della loro attuale locazione.

 

Nella festa dedicata all'incanto della pietra mancava la Pietra per antonomasia, la sola che può almeno in parte suffragare l'ipotesi dell'origine romana di Ala . La contiguità storica con la “Ad Palatium” riportata nella tavola Peutingeriana fa affidamento ormai solo sulla pietra miliare abbandonata, dimenticata , trascurata, vilipesa, insolentita  diversamente usata  spesso goliardicamente nella sede dell'Inter Club, nell' atrio della Vecchia Biblioteca, …....ultimo storico edificio dimenticato .

 

Questa volta non al Sindaco sono rivolti i mugugni e le richieste ma all'Assessore alla Cultura non certo privo di  sensibilità per il nostro patrimonio. Sensibilità che sarebbe bello vedere espresse.

 

speriamo

 

Luciano Rizzi  

 

via torre2 copia

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