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- Pubblicato Domenica, 04 Novembre 2012 19:16
- Scritto da Rizzi Luciano
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Quei giorni dei Morti di 68 anni fa
Il contesto.
Tra qualche giorno l' anniversario del primo bombardamento su Ala riporterà i non più giovanissimi indietro di 68 anni .
Era l'avvio di quella che in gergo militare fu definita l'operazione BINGO, la distruzione della rete elettrica e l'interruzione della linea ferroviaria Innsbruck – Verona, nell'ambito della più vasta e complessa operazione STRANGLE iniziata nel febbraio marzo dello 1944 mirante a scardinare la rete logistica di trasporto dell'esercito Tedesco in Italia.
Ininterrottamente sino al 30 aprile del 1945, poche ore prima della fine delle ostilità in Italia, si susseguirono le incursioni aeree sullo scalo ferroviario della nostra e delle altre località poste sulla linea del Brennero dotate di sottostazioni di trasformazioni , di scali ferroviari importanti con i ponti , i viadotti, le gallerie i depositi e ogni piccola parte di territorio nel quale sopravviveva ancora una traccia di binario sul deserto reso lunare dai bombardamenti.
Le formazioni di bombardieri medi bimotore quasi sempre operativi di primo mattino, si alternavano con quelle dei cacciabombardieri insidiosi nel pomeriggio e anche se il risultato di scardinare il sistema di trazione elettrica per costringere la Wehrmacht a ripiegare su quella a vapore, meno potente e più lenta, fu conseguito in brevissimo tempo, questo non portò né alla cessazione né alla rarefazione delle incursioni.
Ala viveva, come il resto del Paese il dramma dell'occupazione.
Il Trentino Alto Adige divenne Provincia del Reich con la conseguente totale perdita di una legislazione autonoma.
Il tessuto sociale era disintegrato, non meno di 200 uomini delle varie classi di leva risultavano deportati in Germania o prigionieri di Guerra degli Alleati e ancora reclutati dalle organizzazioni tedesche quali la Todt o la Speer per lavori di sgombero, ripristino e fortificazione.
Altri i più giovani erano arruolati nel Corpo di Sicurezza Trentino (CST) sostitutivo della leva ordinaria e con funzioni di Polizia antipartigiana, infine alcuni vennero inquadrati nelle batterie della Flak, (l'antiaerea Tedesca).
Gli sfollati
La consapevolezza, ben presto acquisita, che Ala costituiva un importante obiettivo per i bombardamenti alleati provocò nella popolazione l'urgenza di ricercare alternative alla vita cittadina.
Le donne i bambini i vecchi , gli ammalati furono allora sfollati da parenti in località decentrate quali la Vallarsa e il Bleggio, ma la maggior parte si riorganizzò ben presto in una seconda Ala trasferitasi ai Ronchi dove con gli abitanti migrò anche l'ospedale civile allora gestito dai Padri Camilliani ; seguì anche la scuola o quanto di essa sopravviveva dopo l'occupazione da parte della Wehrmacht dell'edificio scolastico; l' anno scolastico ebbe quell' anno per la gioia degli alunni un vacanziero svolgimento.
Circa 1.200 persone in maniera continuativa o saltuaria avevano stabilito nella frazione la loro residenza.
Una migrazione a pochi chilometri di distanza dalle proprie abitazioni d'origine appesantita però dall'angoscia per i familiari dispersi dalle vicende belliche nei cinque continenti, per la preoccupazione rivolta alle povere risorse lasciate in balia delle bombe alleate e delle requisizioni Tedesche , sopportando in maniera spesso disumana le privazioni e le sofferenze di un' economia di guerra, subendo i quotidiani disagi di una affollata coabitazione in una località già endemicamente povera che vide triplicarsi la popolazione, in una promiscuità tra uomini e animali che aggravava la già precaria e compromessa situazione sanitaria .
Va dato incontestabile atto alla popolazione dei Ronchi per la generosità, disponibilità, solidarietà e affetto, per aver ripartito con prodigalità le poche risorse disponibili e condiviso con questa massa di sfollati , non tutti di Ala, disagi e sofferenze stabilendo non di rado un' amicizia perpetuatisi anche dopo il ritorno alla normalità.
La provvidenziale distanza dello scalo ferroviario dal nucleo urbano, il ricorso ad un bombardamento “mirato” e non indiscriminatamente a “tappeto”, l'uso di bombe non mostruosamente distruttive e anche una certa qual buona sorte , hanno contribuito a risparmiare ulteriori sofferenze e lutti alla popolazione e al Centro Abitato.
Nessuna bomba colpi mai le abitazioni civili , ma questo non allentava lo stato di paura per una guerra che nessuna aveva mai immaginato potesse assumere connotazioni di tale violenza.
Una vittima civile dei bombardamenti in effetti vi fu, una sola fortunatamente e anche questa per una sottovalutazione del pericolo. Si racconta che un contadino , “ El Capuso” incurante degli avvertimenti e dei richiami si ostinasse a rimanere all'aperto intento al lavoro del proprio campo e così..........
Ma queste sono considerazioni a posteriori, allora la paura era continua palpabile, visceralmente dolorosa e razionalmente non controllabile. La risposta più istintiva si indirizzava nella naturale ricerca di un riparo.
I Busoni
Ma dove? I rifugi erano “privilegio” delle grandi città, le abitazioni risultavano inadatte a sopportare la tecnologia distruttrice, i ripari naturali erano pochi e mal localizzati. E allora ?
Ai Busoni, quelle quattro orbite vuote che complici le “Bonifiche agrarie” hanno rifatto capolino dopo oltre 40 e più anni, lassù alle prime pendici del monte Corno, sopra il Maso del “Pozza”, la casa Rossa . Proprio li dove finisce il “vigneto” e incomincia il bosco, in uno scalino naturale si trovano i Busoni.
Scavati ancora nella prima Guerra Mondiale dall'Esercito Italiano, in fretta, per ovviare alle carenze difensive che l0 offensiva Austriaca del Maggio del 1916 ( definita a posteriori Straffexpedition) aveva messo in evidenza nel dispositivo militare Italiano.
Contemporanei dei “Busoni” della Sega di Ala , ( delle cose frettolosamente allestite e mai ultimate si impossessa inevitabilmente la vulgata corrente con una toponomastica semplice e di immediata identificazione ), del Trincerone di Marani e di quasi tutte le opere militari iniziate e fortunatamente non sempre ultimate perché inutili, quali strade e altre caverne (Stoll), che disegnano e contrappuntano ancor oggi le nostre montagne.
Quelli del Corno sono quindi i Busoni per antonomasia . Furono immediatamente identificati come riparo , non proprio vicinissimi al Centro abitato, molto meno dell'unico rifugio , o tale era considerato lo scavo in roccia , ubicato presso le Vasche oltre la Villalta sulla strada che porta ai Masi della Parrocchia.
Gli allarmi si susseguivano giornalmente senza pause , al punto che molte persone o interi nuclei familiari, sbrigate le poche faccende della mattinata , compiuto approvvigionamento con le magre razioni delle Carte Annonarie, prendevano la via del Corno, “ el senter dei cannoni” , un angusto tratturo ora ingoiato dal bosco che prendeva avvio all' imbocco della strada del Tambuset, e lì trascorrevano la giornata , chi all'interno , chi nelle immediate pertinenze.
L'incipiente inverno - uno dei 4 inverni più freddi del secolo fu proprio quello del 44-45 - gli indumenti inadatti, le fonti di riscaldamento inadeguate portarono ben presto alla drastica riduzione delle frequentazioni.
Le difficoltà di adattamento ebbero alla fine il sopravvento anche sugli ultimi irriducibili.
Commisurati i costi con i benefici di quella quotidiana escursione in quota, ben presto quasi la totalità di quanti arrancavano sino a qual momento verso i Busoni, preferì a questa sicurezza disagevole e faticosa , le poche , insicure ma familiari comodità .
Molti erano uomini impiegati nei lavori di ripristino della ferrovia, non tutti reclutati a forza e quanti lo erano appartenevano alla categoria dei prigionieri di guerra: Russi, Polacchi, Bulgari (dopo la defezione della Bulgaria dall'alleanza con il Reich) e la necessità di questi di ritornare alle proprie famiglie fu un incentivo ad abbandonare i rifugi. Esigenze pratiche quindi ma anche un richiamo affettivo.
Testimonianze raccolte raccontano che molto spesso, il turno di il lavoro che iniziava alle 8 veniva interrotto dal suono della sirena d' allarme e mai più ripreso sino al pomeriggio (incursioni permettendo) o al giorno seguente.
Oggi e …..domani
La congiuntura climatica, il recupero agrario di zone sino ad ieri abbandonate, ci hanno riconsegnato la vista dei Busoni, consentendo ad un pezzetto della nostra storia di ritornare a farci visita e offrirci una testimonianza del passato.
Piace fantasticare che in quanto giunge dal nostro recente passato sia racchiuso un richiamo agli Amministratori per una maggior attenzione nel rinnovare la Memoria e distogliere le attenzioni dalla consuetudinaria routine promuovendo la conoscenza di questo dimenticato luogo.
Magari nell'ambito delle sontuose cerimonie per l'anniversario della Grande Guerra da tempo in fase di allestimento sul Territorio Trentino, un piccolo momento per una riflessione ci verrà dispensato.
Ancora un'opportunità per la nostra Amministrazione di ricordarsi di questa piccolissima testimonianza nascosta nell'anfratto della nostra storia in gran parte rimossa e che vorremmo pensare affidata a mani feconde.
Ma lo sconforto che ha accompagnato il procedere incerto verso il recupero e la valorizzazione di questa come di altre memorie, non lascia molto spazio alla speranza.
“Il vantaggio della poca memoria è poter godere più volte delle stesse cose per la prima volta”
( Nietzsche)
Cordialmente
Luciano Rizzi
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