Testo fisso

 Per la politica dell'ambiente                                   Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso! Guevara                                          

IL CONTRABBANDO SULLA LESSINIA

 

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Mappa dall'Archivio di Stato di Trento

 

Per chi frequenta i pendii della Lessinia, non è raro imbattersi in solitarie pietre che spiccano sui prati, e che interrompono la continuità della monotona linea del  filo spinato.

Sono i cippi (termini) posti nel 1754 ad indicare il confine tra la Repubblica di Venezia ed il Tirolo di Maria Teresa d’Austria.

Dopo anni di dispute tra le popolazioni confinanti per l’uso di prati, boschi (in particolare sul monte Baldo) e di contrabbandi che soprattutto la Repubblica di Venezia cercava di frenare con la presenza costante di distaccamenti di milizia sui monti, fu deciso nel 1751 di costituire una Commissione ai Confini, con sede in Rovereto, avente il compito di arrivare in tempi brevi alla definizione del confine tra il Tirolo e la Repubblica di Venezia, sull’altopiano dei Lessini e sul monte Baldo.

Ci vollero due anni di sopraluoghi e di incontri con le comunità confinanti  che presentarono alla Commissione numerosi documenti ed atti notarili per dimostrare i diritti secolari che una comunità vantava sui territori in questione, in contrapposizione ai vicini che si trovavano oltre il confine. I quali non erano senz’altro da meno nell’esporre le proprie ragioni pure supportate da documenti.

Il 5 settembre 1753, i Commissari plenipotenziari sottoscrissero in Rovereto il “Trattato sopra le differenze de’ confini d’Ala, Avio, e Brentonico con l’alto Veronese”.

Le comunità dell’alto Veronese erano quelle di Bosco Chiesanuova, Erbezzo e  S.Anna d’Alfaedo sui monto Lessini ; Belluno, Ferrara e Malcesine  sul monte Baldo.

La conseguenza del trattato, sottoscritto dal conte Paride di Wolckenstein a nome dell’Imperatrice Maria Teresa e da Francesco Morosini per conto della Repubblica di Venezia, fu la stesura di mappe dettagliate delle zone di confine e l’impianto lungo tutto il confine stesso di duecento “termini” numerati da 1 a 100 sul monte Baldo e da 101 a 200 sui Lessini.

 

Veniamo ora a parlare di alcuni fatti  che contribuirono nel muovere le autorità responsabili a trovare una soluzione possibilmente definitiva per eliminare le frequenti controversie di confine.

 

Nell’archivio storico presso la Biblioteca Comunale di Ala vi sono alcuni manoscritti che narrano episodi avvenuti sui Lessini e che, riguardando fatti attinenti al confine, richiesero l’intervento presso i Rettori di Verona, competenti per la parte veneta sul confine, del tribunale di Brentonico, sede del Capitano e Commissario dei Quattro Vicariati.

 

Quella che segue è la trascrizione fedele dei documenti, trattati in ordine cronologico.

 

Il primo documento è datato 22 giugno 1720.

Antonio Pellegrini, Capo Massaro in Ala sporge denuncia all’ufficio criminale dei Quattro Vicariati di Brentonico, nella persona di Giovanni Luigi Sartori Capitano e Commissario :

 

“Questa mattina sopra le nostre Montagne, ne la situazione del Territorio di questo Vicariato lungi dal Confine Veneto circa un miglio sono stati levvati sei mulli con sei carichi di galette, e fatti prigionieri due uomini condottieri padroni d’essi muli, e galette dalla guardia de li Daciali Veneziani, ed erano, come vien detto, otto o dieci uomini, o sia soldati della Guardia, anzi pure vien detto, che abbino nell’atto del fermare li uomini, e mulli turate due schioppettate, ma presa la polvere sul fogone, e non uscito il scarico per volere di Dio.

Due uomini sono stati presenti disinteressati, che si ritrovavano a caso sul fatto, tanto mi hanno rappresentato, e confirmato, e vi saranno li stessi Malghesi, e Casari della Montagna, che hanno veduto, così mi vien pure rappresentato.

Questo è un fatto di turbata Giurisdizione, e di violenza nel stato di S.M.C.C. e di S.E.(......) onde crederei bene, che Vs. Clar.ma spedisse con delegazione il Sig. Cancelliere in Ala per ricevere le deposizioni informative, che ancor sono quivi tanto li altri poveri uomini padroni de mulli, e delle galette, fuggiti, e ricoveratisi quivi, quanto li altri testimonj presenti al fatto, e poi, che il Sig. Cancelliere proseguisca in Montagna a ricevere lì altre informazioni dalli Casari, e visitare la situazione del fatto, e fare la descrizione che è nel nostro stato, et occorrendo lì assistenza al Sig. Cancelliere anche delli soldati del Castel d’Avio.

Io subito gli ho fatto carta di mio pugno col sigillo pubblico del mio Officio Vicariale, che siano licenziati, e Mulli, e Galette, et uomini, altrimente ne darò parte alla mia Suprema Dominante Imperiale, et a S.E.(....) Giurisdicente di questo Territorio, in buona forma con esprimere la turbata Giurisdizione del Territorio, e Dominio d’un altro Dominante, e con questa in tanto uno di questi uomini con uno di Ala sono andati in Montagna, e proseguire dietro sino ove si ritroveranno condotti questi muli, uomini, e Galette.  Il Massaro nostro spedisce in tanto la Denunzia, come vedrà.

Veda di provedere, e fare subito che si tratta di cosa grave, et espedita, et a fine sia levato questo disordine, che può partorire Maggior pregiudizio in avvenire, mentre questi Daciali Veneti hanno guardie sopra le Montagne, e guardano con rigore, e non lasciano venire cosa alcuna, né Galette, né altro in questa Giurisdizione, e non succeda maggior violente fatto.”

 

Il 22 giugno 1720, il Dott. Giovanni Maria Gresta, Vicario di Ala invia (probabilmente ai Rettori di Verona, ma il documento non lo chiarisce) il seguente scritto :

 

“Nel territorio di questa Giurisdizione del Vicariato di Ala, Stato e Dominio di Sua Maestà Cesarea, e Cattolica, e Feudo di S.E. Conte di Castel Barco sono stati levati sei mulli con sei some di Galette, si contentevanno farne la restituzione immediatamente non potendosi sopra il territorio d’un altro Dominio farsi lecito d’usurparsi alcun atto di giurisdizione.

Li Mulli con le Galette erano sulla Montagna giurisdizione Imperiale, lontano un miglio dal confine Veneto.  E perché questo Territorio della suddetta Montagna è soggetto al mio governo Vicariale, così tanto lo ricevo, e premo, che sia fatta subito questa restituzione toccando a questo Stato Imperiale l’interesse di non doversi, né potersi turbare la Giurisdizione.  In difetto sarò necessitato darne parte, e l’avviso alla mia Superiorità Dominante di questa turbata Giurisdizione, et ad altri, a chi s’aspetta.”

 

Il 23 giugno 1720, il Cancelliere Cavazzani si mette in marcia, accompagnato da due soldati del castello di Avio, e attraverso la Val Bona si reca nella montagna detta “il Pedocchio”.

Qui raccoglie le testimonianze.

 La prima è di Andrea Danesi :

“Il Baito di questa Montagna detta il Pedocchio è nel Territorio de quattro Vicariati, poichè come si vede il cordone, che divide il Territorio de Vicariati da quello di Verona, o sj Veneto è lontano di qua per il spazio di circa pertiche cinquanta, abbenchè questa Montagna non sj della Comunità di Ala ma de Signori Veronesi.

La sera delli 21 del cadente ritrovandomi su la portella di codesto Baito, che leggevo una lettera mi sopragiunsero due persone, una delle quali la supposi una Spia, e l’altra era un Bodolo Soldato Veneziano, che mi ricercavano l’ingresso in questo Baito, et richiedendogli io cosa qui volessero far, mi risposero, che volevano vedere, se quivi eravi seta, o Sale Trentina, io gli soggiunsi, che in codesto Baito essendo fabbricato nel Territorio Trentino non avevano alcuna autorità di ciò fare, ma insistendo essi di voler fare la perquisizione con soggiungere, che poco li importava, che fossero sul Trentino, et osservando esser attorniato il Casone da altri soldati Bodoli al numero di tredici circa, et vedendo non poter io resistergli fui costretto a permettergli l’ingresso, quali svoltolarono ogni cosa, che era nel Casone, ma non ritrovando quello che cercavano partirono senza altro fare.

Vi era Bernardo Pachera uno delli miei Famiglj.”

 

La seconda testimonianza è di Bernardo Pachera, di Caprino Veronese.

“Si, che li 19 di questo mese essendo qui al Casone Giuseppe Anzel di Ala fu questo assalito da dodeci, o tredeci Soldati Bodoli della Repubblica Veneta, per vedere, se avesse condotta sale bianca, poichè detto Giuseppe altrimente è solito condurre per questi Casoni, essendo questo massime situato nel Territorio di Ala lontano dalli confini Veneti circa cinquanta pertiche, come si vede, et dicendogli esso, cosa volessero da lui, poichè in cotesto luogo la Repubblica non ha alcuna autorità, essendo Giurisdizione di Sua Ecc.za il Sig. Conte di Castel Barco, essi risposero, che volevano fare il suo mestiere, se non che gli avrebbero dato li schioppi sulla testa, così detti Bodoli non ritrovarono cosa alcuna.  Ritornarono poi la sera delle 21 di questo, et circondato il Casone, uno di questi con una Spia, per quanto la supposi, venero al’ingresso di questo Baito, sul quale si ritrovava il Sig. Andrea Danese Mio padrone, quale pretese impedirgli l’entrata coll’addurre esser tal Baito fabbricato nel Territorio delli Vicariati, ma ciò non ostante non potendo resistere doveva contentarsi il lasciargli entrare, et per una perquisizione diligentissima per tutto il baito, dissero, se ritrovavano sale Trentina, ma essendo stata tal sua diligenza infruttuosa partirono senza altro fare.”

 

Il Cancelliere Cavazzani prosegue il suo viaggio sui monti Lessini per raccogliere testimonianze, e dal baito del Pidocchio prosegue per la Boldera.

Qui raccoglie le testimonianze di Battista Bianchi, Francesco Ferrari, Antonio Tachela da Lugo, tutti Veronesi.

 

Per prima la deposizione di Battista Bianchi :

“Io mi ritrovo costì per una disgrazia, che occorse ieri mattina a me, e mi ricomponga.

Avevimo ieri mattina avanti giorno io Francesco Ferrari, o sij Nicolini, Angelo, et Antonio fratelli Tachella, et un tal Valentino, credo sij di cognome Marogna di Lunghezzan caricato otto muli di galette, partimo da Lugo  et venimo per coteste Montagne per condurre le galette in Ala, et colà venderle, et marchiassimo con ogni sollecitudine per uscire dal Territorio di Verona, quando sull’alba del giorno essendo giunti nella Montagna della Boldera, che è nel Territorio de Vicariati, et arrivato oltre il baito di detta Montagna vicino, o sij nelli confini della Montagna della Pietà lontano dalli Confini Veronesi circa un miglio, credendoci perciò sicuri da Soldati, e guardie Veronesi, ci fermassimo a riposarci, quando ché ivi fossimo sopragiunti dalli Soldati Bodoli della Repubblica al numero di tredici, o quatordeci, et questi presero Valentino Marogna di Lughezzan, et ci atrapparono quattro Mulli carichi di galette, fuggendo noi altri, con li altri quatro mulli, et sottraendoci dalla loro ingiusta violenza, et subito detti Bodoli condussero verso il Veronese detto Valentino con li quatro mulli, prosseguissimo noi il viaggio ad Ala, dove ne portassimo di ciò la notizia a quel Sig. Vicario, et dalli Massari di detto loco essendo stata avanzata all’Offizio Criminale de Vicariati d’ordine del medesmo si sono portati in questa Montagna per far vedere al medesmo, che sij ciò seguito nella Giurisdizione de quatro Vicariati, come può V.S.Eccellentissima da se vedere, poiché dal baito della Boldera, e dalli confini della Pietà sino alli confini Veneziani è quasi un miglio per non dire più.

Avevanno veduto li Malghesi della Montagna della Pietà, come pure anco quelli della Montagna della Sega, quali in quel tempo mungevano le loro Vacche ; anziché Lorenzo Falzo detto Scalabrino ha detto, che essendo esso in quell’ora nella Montagna della Maia vidde a scroccarci dalli Bodoli predetti due volte il schioppo, come in effetto ce lo scroccarono, cred’io per intimorirci, poiché suppongo il schioppo non fosse carico. “

 

Segue la deposizione di Francesco Ferrari :

“Suppongo, che sij, perché ieri mattina, che fu li 22 di questo, essendo io con Battista Bianchi, Angelo, et antonio fratelli Tachela, et Valentino Marogna partiti dal Veronese avanti giorno con otto mulli carichi di galette, quando fossimo giunti oltre il baito della Montagna della Boldera, che è, come V.S.Eccellentissima vede lontano dalli Confini Veneti un miglio circa, credendoci sicurissimi per esser giunti nel Territorio delli Vicariati, ci fermassimo a far riposare li animo(li), poiché sino ivi gli avevamo fatti camminare frettolosamente per non inciampare nelle guardie, e Soldati Veneti, quando che in esso loco fossimo sopragiunti da tredeci, o quatordeci Soldati Veneti detti Bodoli, et questi ci attrapparono  quatro mulli carichi di galette, et il suddetto Valentino Marogna conducento il tutto subito verso il Veronese ; anziche due di detti Bodoli ci scroccarono contro il schioppo, che non prese fuoco, o perché veramente il schioppo non fosse carico, o perché Iddio non  permettesse prendesse fuoco, et indi noi proseguissimo il viaggio ad Ala, dove ne portassimo la notizia a quel Sig. Vicario che su la Giurisdizione di Ala ci fossero stati da Veneziani contro ogni dovere attrappati li Mulli, et preso l’uomo.”

 

La deposizione di Antonio Tachela :

“Credo, che sij, perché ieri mattina sul far del giorno, essendomi io con miei Compagni fermato oltre il baito della Boldera a riposare con otto animali carichi di galette, perché erimo già sicuri, essendo dentro nella giurisdizione de 4 Vicariati per il spazio di quasi un miglio, quando che ci sopravennero li Soldati Bodoli di Veenzia, che erano venuti e mandati in queste Montagne, acciò impedissero li contrabbandi, et non ostante, che più non fossimo nel Territorio Veronese ci attrapparono quattro muli carichi di galette conducendo seco uno de miei Compagni, che fu Valentino da Lughezzan, che credo sij di cognome Marogna, et più non poterono attrappare, perché noi altri a precipizio parassimo li mulli tagliando le soghe delle some, sicché cadessero nel bosco, e noi fuggimmo, essendoci dalli Bodoli due volte stato scroccato il schioppo, che per voler del Cielo non prese fuoco.”

 

Il Cancelliere Cavazzani si porta alla Montagna della Sega, dove raccoglie la testimonianza di Tomaso Benetti.

 

“Ieri mattina nell’alba, in mentre, che io mungevo le Vacche intorno al mio Casone viddi oltre il baito della Boldera ne’ confini della Pietà, che è dirimpetto a questa Montagna li Soldati Bodoli, che attrapparono quatro mulli carichi con un’ Uomo, et viddi, che ritornarno addietro con essi verso il Veronese.

Per quello ho udito dire, et per la cognizione, che io tengo di coteste Montagne, e pascoli il sito suddetto oltre il Baito della Boldera è della giurisdizione de 4 Vicariati, et non Veronese, essendo quanto piove in qua tutta Giurisdizione Trentina, et però quelli uomo, et mulli era già inoltrato in essa giurisdizione per il corso quasi d’un miglio.”

 

La tappa immediatamente successiva del Cancelliere Cavazzani è la Montagna della Pietà,  per raccogliere la deposizione di Giorgio Menegazzo.

 

“Io non so, che sij successo altro, se non che ieri mattina sull’alba, mentre mungevo le mie Vacche qui alla Montagna della Pietà viddi li Soldati Bodoli, che attrapparono quatro mulli carichi, et condussero via un’uomo, che era con altri fermato a riposare oltre il baito della Boldera Montagna confinante con questa della Pietà, anzi nel principio della Montagna della Pietà, et osservai, che subito condussero detti mulli carchi, per quant’ ho poi udito dire di galette, et il detto uomo verso il Veronese.

La Boldera, la Sega, et questa della Pietà, et tutte li altre Montagne, e pascoli, che sono di qua per quanto piove in qua sono tutte della giurisdizione de 4 Vicariati, essendo il confine col Veronese nella sommità della Boldera per quanto sempre ho udito dire, et praticato queste Montagne, et però il sito, nel quale ho veduto attrappare li detti animali, et uomo è nella detta giurisdizione de Vicariati, essendo tal sito lontano da confini, come si vede, per il spazio di quasi un Miglio.”

 

Tornato a Brentonico, il giorno 25 giugno 1720 il Cancelliere Cavazzani stende una dettagliata nota di quanto è finito in mano ai soldati Veneziani  il 20 giugno sui Lessini.

 

“Nota di quelli animali quatro, cioè tre femine, et un maschio di pellame una castagna, et due morelle, et il maschio di pellame castagno rosso forniti con suo basto, cengia, e coperta, e sacchi per cadaun animale di sacchi n.4 per cadaun animale, con due tabarri uno morello, et l’altro color bianco con due incerate, et un giuppon nuovo di color muschio, et un lenzuolo nuovo di tela. Con cestoni n. Otto.

Galette nette di tara lire mille duecento dico 1200.

Con un’Uomo chiamato Valentino fu Domenico Marogna. Presi nella Montagna chiamata la Boldera della Comunità de 4 Vicariati, o sij tra li confini della Boldera, e della Pietà.

 

Il 27 giugno 1720 Giovanni Luigi Sartori, Capitano e Commissario Generale dei 4 Vicariati, invia uno scritto ai Rettori di Verona :

 

“La guardia consistente in alcuni Bodoli destinati a guardare nelle Montagne confinanti con quelli di Ala, e li Ecc.za Sua Sig. Conte di Castel Barco, Padrone del Territorio per altro Imperiale, si sono inoltrati entro un miglio circa sino sotto la Casina della Boldera giurisdizione della predetta Ecc.za sua per attrappare quattro muli carichi di galette, et un’uomo chiamato Valentino Marogna da Lughezzano, et perché questi sono atti di perturbata giurisdizione, il che apertamente risulta da testimonj de visu esaminati, si supplica riverentemente li Ecc.ze loro a non permettere almeno alcuna novità pregiudiziale, et sospender ogni altra esecuzione sino che capitano da Milano, ove rissiede li Ecc.za sua ulteriori informazioni alli Ecc.ze Vostre, et tener più che giammai non si crede sij questa intenzione delle medesime, nel mentre con umil.ma riverenza restiamo dell’Ecc.ze Vostre....”.

 

Risposta di Barbon Morosini Podestà di Verona e Polo Donato Capitano a Giovanni Luigi (Maria) Sartori, Capitano e Commissario Generale dei 4 Vicariati:

 

“L’arresto di Valentin Marogna, suddito veronese con quatro muli carichi di galete  hanno esposto li miei detentori esser seguito dentro questo Dominio, e lo stesso ….. s’uniforma nella sua deposizione. Vedendo però esser stato asserito a Vs…. Ecc.ma, che tale arresto sia stato praticato dentro codesta Giurisdizione si fanno da noi estendere tutte le diligenze per venir in cognizione del vero con l’informazioni di persone sincere, e pratiche, chi abbiamo mandato a chiamare, e quando risultasse ( il che non si posiamo persuadere) che fosse stata turbata cotesta Giurisdizione saremo pronti a togliere il pregiudizio, né fra tanto seguirà altra novità per li oggetto da noi pure conservato di ben vicinale, anzi di passar sempre con la più amicabile corrispondenza, il che per ora servirà di risposta al di Lei foglio …..”.

 

In data 1 luglio 1720 Barbon Morosini Podestà di Verona e Polo Donato Capitano inviano un’altra lettera a Giovanni Luigi (Maria) Sartori, Capitano e Commissario Generale dei 4 Vicariati:

 

“Al fine di restar assicurati del vero sito ove sia successo li arresto di Valentin Marogna, e delli quatro animali con galette, prendiamo risoluzione di spedir sopra luoco persone a rilevar le più certe informazioni nel giorno di lunedì, sarà li 8 del corrente con ordine di riferir a Noi il risultato.

Se con tali occasione parerà a …..Ecc.te opportuno far che alcuno di cotesti suoi pratici, et informati s’unisca per le più sincere, e certe indagazioni, onde di comune accordo, e consenso stabilir si possa il giusto, può esser, che sul fatto resti troncata ogni differenza, com’è di nostra viva intenzione, e tale la consideriamo anche in Vs…..Ecc.te, dalla quale attenderemo sopra tal punto col ritorno del presente messo i proprij sentimenti ….”.

 

Lettera datata 8 luglio 1720 inviata da Giovanni Luigi Sartori, Capitano e Commissario Generale dei 4 Vicariati ai Rettori di Verona ( considerando la data della lettera del 7 luglio 1720 scritta dai Rettori, la data di questa lettera è dubbia) :

 

“Già scrissi l’ordinario prossimo passato a Sua Ecc.za il Sig. Conte di Castelbarco Padrone, e Giurisdicente de 4 Vicariati essere necessaria la visione del luogo, per terminare con fondamento la pendente controversia, onde opportunamente rispondo alla riverissima dell’ Ecc.ze Vostre in data del primo corrente, supplicandole a differire per sino li 11 del corrente, che sarà giovedì della futura, acciocché fra questo tempo, ad ogni buon fine, et effetto possa avanzare l’arrivo al Sig.Consigl. Ceschi Commissario Cesareo sovra i confini per l’interesse territoriale di S. M. C. et C. in caso gli piacesse intervenire, nel qual giorno portevomi sul luogo della differenza in persona con alcuni periti, e pratici informati de confini su quelle Montagne, et in tal guisa si stabilirà il giusto con troncare ogni controversia, così avanzo per anco all’Ecc.ze Vostre la mia deliberazione, con la quale ossequiosamente inchinandole viepiù……”.

 

Il 7 luglio 1720 I rettori di Verona inviano una lettera espresso al Capitano dei 4 Vicariati:

 

“Non trovandosi nella pendente controversia dell’interesse, e Giurisdizione de Confini , e termini, da quali non cadono in contesa, non è opportuno, che muovasi il Sig. Commissario Ceschi, mentre da noi non si spediscono, che due Persone per rilevar da Testimonij, che si trovasse essere stati presenti all’arresto di Valentin Marogna, e de quatro animali co galette, se sia lo stesso seguito dentro, o fuori i limiti di questa Giurisdizione, già certi per se stessi, e che non supponiamo siano per essere posti in contrasto, ciò, che sarebbe affare d’altra maggior ispezione, e che non potrebbe esser maneggiato, che dall’autorità de Sovrani.

L’incombenza però delle due Persone che saranno da Noi spedite per giovedì prossimo 11 corrente sarà dopo rilevate le prove circa il sito dell’arresto, farne un’amichevole comunicazione in via privata a chi fosse da Lei inviato per far una scambievole comunicazione di quelle prove, che fossero state rilevate in cotesta sua Cancelleria, onde dal confronto delle prove stesse potesse scaturire più certa la verità, a dar il modo di veder sopita da se stessa, e senza pubblici impegni la presente difficoltà. Tale è il nostro oggetto, che spiegamo …..”.

 

Il 9 luglio 1720 Giuseppe Zanini, incaricato dal Capitano dei Vicariati di recarsi sui Lessini per l’incontro con i Veronesi, scrive al medesimo:

 

“Mi spiace non aver la fortuna di poterla servire nel viaggio consaputo perché ritrovandosi mia figlia gravemente ammalata in casa della Sig. Angela ……..obbliga la mia carità paterna ad assisterli temendo qualche accidente inopinato durante la mia assenza.

Per altro provavo tutto il contento di poter servire Sua Ecc.za….

Imploro il compatimento, et augurando un’esito felice all’intrapreso impegno mi rassegno……”.

  

La risposta: 

"Ecc.ze

perché il Sign. Consigl. Ceschi Commissario Cesareo ai confini mi dè qualche motivo per sapere il nome, cognome, e patria dell’arrestato sulle Montagne di Ala dalla guardia di codesto Ser.mo Dominio, parmi bene con tal’occasione per sovrabbondare in cautela di farlo partecipe del fatto seguito, come risulta dalli atti osservati da questa Cancelleria, fosse per muoversi verso li confini predetti ne avanzai l’avviso alle Ecc.ze Vostre, ……….che dalla loro saviezza ricevo per risposta, trattandosi primamente d’un interesse che riguarda la qualità del luogo, ove fu attruppato l’uomo senz’alcuna controversia de confini scrivo subitamente in Rovereto con altro espresso, acciocché sij certificato il Sign. Consigl. del tenore della riveritissima lettera dell’Ecc.ze Vostre, alle quali soggiungo esser fissata l’andata per Giovedì 11 cor.te sulla Montagna, e facendoli umilissima riverenza mi professo per sempre

Dell’ Ecc.ze Vostre

 

mappa3  Marcello Cavagna

 

 

 

 




In Wikipedia si trova un interessante articolo, l’autore non è individuabile, che inquadra il contrabbando in Lessinia nel contesto storico.

 

Riporto l’intero documento Wikipedia :http://it.wikipedia.org/wiki/Contrabbando_tra_Ala_e_la_Lessinia?useFormat=mobile

 

Le premesse storico-geografiche

Durante il XVIII secolo, nel periodo di occupazione austriaca del nord Italia, lungo l’altopiano della Lessinia, passava la linea di confine tra l'Impero Asburgico e la Repubblica di Venezia.

 

Le lotte per il confine

 

Il Principe Eugenio di Savoia

Il confine era stato soggetto a tumultuosi sconvolgimenti sin dal 1405, quando Verona era passata sotto il controllo di Venezia, seguita pochi anni dopo dai territori di Ala, Avio e Brentonico (ceduti per volontà testamentaria del conte di Castelbarco) e, in seguito, dai feudi di Lizzana, dal castello di Rovereto e da Mori, quest'ultima nel 1439.

Con la sconfitta nella battaglia di Calliano del 1487 l'Imperatore Massimiliano d'Austria riuscì a riconquistare il territorio di Rovereto e dei Quattro Vicariati, che in seguito furono restituiti da suo nipote Carlo V e dal figlio di questi Ferdinando al principe vescovo di Trento, che vantava su di essi antichi diritti.

 

La pace e l'apertura del sentiero di Val Fredda

Agli inizi del 1700, nel periodo in cui stava per prendere avvio la guerra di successione spagnola, il Tirolo venne a trovarsi fra il fronte della Baviera a nord ed i francesi che da meridione premevano per riunirsi agli alleati. Il principe Eugenio di Savoia, condottiero al servizio dell'Austria, risalì da Ala la Val Fredda con un intero esercito, per poi scendere per Fosse (oggi frazione di Sant'Anna d'Alfaedo). Congiuntosi con due reggimenti saliti da Peri (oggi frazione di Dolcè), riuscì ad evitare lo sfondamento dei francesi.

Il sentiero, che venne poi praticato da altri eserciti, rappresentava una via alternativa a quelle più note, e ben presto divenne noto tra i contrabbandieri.

Con la pace di Aquisgrana del 1748, si conclusero le guerre di successione. La Repubblica di Venezia, che si era mantenuta neutrale in tutte le contese, era ora nella necessità di definire i confini con la Casa d'Austria. La Serenissima venne sollecitata a questo passo dalle relazioni e dagli ammonimenti dei suoi ambasciatori, che segnalavano continui abusi che in molti punti del confine venivano messi in atto con risultati dannosi.

 

Il trattato di Rovereto

L'Austria, indebolita dagli scontri, era nelle condizioni di dover accettare compromessi: graziata dalla neutralità veneta, avrebbe dovuto fornire concessioni per ricambiare il favore ed evitare nuove ostilità.

Nel 1750, a Rovereto si costituì il Congresso per ragioni di confine, dove inviati plenipotenziari dei due stati avrebbero dovuto raggiungere un accordo sulle questioni territoriali e gettare le basi per una lunga amicizia.

I rappresentanti dell'Austria (Paride di Wolckenstein e Giuseppe Ignazio de Hormayr) e quelli di Venezia (Pietro Correr e il cavalier Francesco Morosini) coinvolsero i rappresentanti delle comunità di confine, svolsero sopralluoghi e giunsero infine ad un documento condiviso, il trattato di Rovereto del 5 settembre 1753.

 

L'invasione francese e l'inizio del contrabbando

Nel 1754, il nuovo confine divise dunque i Vicariati trentini di proprietà austriaca, dall'Alto Veronese, appartenente a Venezia. La condizione rimase stabile fino al 1798, quando la caduta della Repubblica di Venezia per mano di Napoleone Bonaparte rimise in discussione le relazioni di vicinato austriache.

Nel 1815, il veronese, il Trentino e il Tirolo vennero acquisiti dall'Austria, creandosi in tal modo una condizione completamente nuova.

I dazi doganali francesi sottoponevano le popolazioni a privazioni, quando oltre il confine austriaco le condizioni erano decisamente migliori: tra i montanari della Lessinia emersero due fenomeni sociali, l'emigrazione e il contrabbando, quest'ultimo agevolato dai territori boscosi e montuosi della zona.

Con la nascita del regno d'Italia, poco cambiò per le popolazioni del luogo, sia dal punto di vista politico che economico; il contrabbando rimase una delle fonti di sostentamento primarie di larghe fasce della popolazione, aggravato dalla svolta protezionistica del regno.

 

L'unificazione

Nel 1915, lo scoppio della Prima guerra mondiale ebbe l'effetto di spingere le popolazioni a rimuovere i simboli asburgici dai cippi di confine, ma non ebbe effetti sulla posizione del confine stesso. Con il 1918 e la fine delle ostilità, il Trentino e l'Alto Adige furono annessi all'Italia.

Il confine non fu tuttavia dismesso e rimase come divisione amministrativa tra le regioni del Veneto e del Trentino-Alto Adige. La suddivisione amministrativa fu ulteriormente rinforzata nel settembre 1943, quando con l'armistizio di Cassibile l'Italia cedette le armi e capitolò.

Il Trentino-Alto Adige venne dichiarato dalla Germania Zona di Operazioni delle Prealpi e di fatto incorporato nel Grande Reich fino al 1945. Con la caduta tedesca, i territori furono resi all'Italia, e il confine riprese la sua funzione amministrativa, questa volta tra la regione del Veneto, quella a statuto speciale del Trentino-Alto Adige, nonché tra le provincie di Verona e Trento.

 

Il contrabbando tra Ala e la Lessinia

 

Le premesse al fenomeno

A causa delle vicende storiche, il Tirolo meridionale si trovò più volte ad essere una terra di confine e, in quanto tale, soggetta a contatti e scambi fra le popolazioni.

Dell'importanza dei confini e del loro controllo si era resa conto a suo tempo anche la Repubblica veneziana nel '700, che aveva abilitato un ingegnere per la redazione delle mappe, assai importanti per dirimere questioni di confine.

Nel 1702 Venezia diede incarico al perito Gasparo Bisognato di disegnare "li confini tutti di questo Serenissimo Dominio con lo Stato Austriaco e indicare nello stesso disegno li siti tutti dove debbano fissarsi li custodi e caselli". Uno di questi passaggi era proprio lo sbocco della Val Bona.

La morfologia del territorio, con valli che scendevano nella Vallagarina, passi impervi e passaggi scoscesi, agevolava lo sviluppo di attività clandestine.

Con la svolta protezionistica del Regno d'Italia e la rinnovata politica doganale, i prodotti stranieri che arrivavano in Italia dallo stato austriaco venivano sottoposti a pesanti dazi e tasse, alle quali la maggior parte della popolazione non riusciva a far fronte a causa di una diffusa povertà presente in tutto il paese.

 

Il contrabbando

L'attività di contrabbando transfrontaliero era dunque diffusa e praticata da una rilevante fascia degli abitanti dei luoghi. Si trattava di un'attività faticosa e rischiosa, ma redditizia.

Per dare un'idea della diffusione del fenomeno, bisogna ricordare come, quando la conclusione del primo conflitto mondiale e l'accorpamento dei due territori portarono alla sparizione del confine, molti paesi rimasero spopolati per via del trasferimento degli abitanti dovuto alla scomparsa della fonte di reddito primaria.

Il divieto di coltivazione del tabacco nello stato Veneto promosse l'espansione del contrabbando dal territorio austriaco.

Ala divenne un modesto centro di produzione, ma sviluppò un'intera industria di raccolta e lavorazione dei tabacchi, affiancata dalla fiorente attività di centro di esportazione illegale.

 

La coltivazione del tabacco

Nella Val Lagarina la coltivazione del tabacco si era sviluppata affiancata a quella del gelso sin dalla metà del '600. Alla metà del '700 venivano prodotte oltre 36.000 libbre (16.329 chilogrammi) secche di tabacco oltre il consumo interno, per un valore di 4.800 fiorini.

Con il 1829 la coltivazione del tabacco divenne un monopolio di stato e nel 1852 in Val Lagarina se ne coltivavano 12 milioni piante, tanto che nel 1855 iniziò l'attività della manifattura di Borgo Sacco, che impiegava 1.000 operai. L'attività prosperò, e la manodopera salì a 2000 unità nel 1912, in gran parte originaria di Ala.

Nel XVIII secolo le più rinomate industrie del tabacco in Ala erano quelle delle famiglie Marchiori, Scarpetta, Brasavola, Baldassari, Burri e Marchesini: queste industrie dopo le guerre napoleoniche subirono duramente le pesanti tasse del governo bavarese e poi di quello austriaco.

L'economia della Val Lagarina ne risultò danneggiata, e il contrabbando trovò nuova linfa vitale nel commercio con il Veronese, soprattutto dopo il 1866 quando il Veneto passò al Regno italico, mentre la Lessinia alense ed il Baldo aviense divennero i nuovi confini tra l'impero austro-ungarico e l'Italia.

 

I sentieri documentati

I contrabbandieri durante la notte percorrevano con i muli caricati i sentieri delle valli trasportando tabacco, salgemma e pani di zucchero che venivano spesso scambiati con cereali, scarsi nella Vallagarina per le limitate coltivazioni. I percorsi e le valli battute dai contrabbandieri andarono via via acquisendo il toponimi, dapprima non ufficiali e poi documentati, delle famiglie e dei contrabbandieri che erano noti per operarvi.

Tra i sentieri, alcuni sono ben documentati.

 

Passo di Rocca Pia

Il sentiero del passo di Rocca Pia (1248 metri s.l.m.) conduceva da Borghetto, in Val Lagarina, verso il passo di Pealdetta passando sul lato ovest dei Corno d'Aquilio. Da lì poi permetteva di giungere a malga Pealda. Il dislivello complessivo era di oltre mille metri.

 

Valle dei Falconi

Il sentiero della Valle dei Falconi, nei pressi dell'attuale Passo Fittanze (circa 1400 metri s.l.m.), risaliva l'omonima valle, immettendosi quindi nella Val Fredda e passando nelle vicinanze della località Sega di Ala, facendo capo anche all'Osteria Boldiera (oggi albergo alpino).

 

Podesteria

Il sentiero che transitava a nord di Podesteria raggiungeva i 1600 metri s.l.m., ed era il più elevato in quota tra quelli battuti dai contrabbandieri locali. Si immetteva nel Trentino attraverso la Val Bona; molto probabilmente era utilizzato anche il sentiero che passava attraverso la valle parallela, la Val Matta, cosi chiamata perché difficile da percorrere rispetto a quella vicina che risultava invece più agevole (da cui il nome "bona").

 

Passo Pertica

Il sentiero di Passo Pertica (oltre i 1500 metri s.l.m.) si dirigeva verso nord scendendo nella Valle dei Ronchi. A questo passo si poteva accedere salendo da Giazza provenendo dalla val d'Illasi e passando per il rifugio Revolto, vicino al quale passava il confine dove vi era una piccola caserma della guardia di finanza. In alternativa, si poteva percorrere la Via Vicentina o Vesentina, proveniente da Durlo, in provincia di Vicenza, la quale attraversando la contrada Pagani di Campofontana, proseguiva per Malga Laghetto, Malga Fraselle, saliva sul Monte Zevola, continuando fino ad attraversare il Passo Tre Croci e Campobrun. Questa via, forse già utilizzata come strada militare in epoca romana era chiamata Gassa, ossia strada di interesse militare e commerciale, dai Longobardi, e toccava tre province: Vicenza, Verona e Trento.

 

La tacita collaborazione

 

Un bando contro il contrabbando emanato dall'Impero austroungarico

 

 

Poiché il contrabbando era una conseguenza delle difficili condizioni economiche, benché fosse ufficialmente illegale era in realtà spesso tacitamente consentito dalla Guardia di Finanza del versante tirolese, la quale chiudeva un occhio, perlustrando le zone dove non sarebbero passati i carichi di merce.

 

La Val Bona

Una delle vie più utilizzate per il contrabbando di varie merci e di alimentari era il vecchio tracciato della val Bona, che era stato per secoli un accesso privilegiato all'altopiano dei Lessini; Un altro punto di passo noto era il confine della Sega.

La val Bona si sviluppa parallela alla valle dei Ronchi in cui confluisce alla Bocca di Ala, tra il Foppiano a ovest e la costa val Bona a est, incisa dall'omonimo torrente che nasce sui Lessini.

 

Le vie del contrabbando

Finché la strada che saliva alla Sega era poco più di un tratturo il percorso della Val Bona fu utilizzato per far salire gli animali del territorio alense sui pascoli della Lessinia centrale.

Con l'emergere del fenomeno, divenne la più utilizzata dai contrabbandieri che con i muli caricati o con le merci sulle spalle, nel cuore della notte, in colonna percorrevano la Valle impiegando cinque ore per salire verso l'edificio della Veceta nei mesi da maggio ad ottobre.

Anche nel periodo invernale se era possibile il contrabbando continuava, perché le cattive condizioni meteorologiche rendevano difficile individuare i portatori.

 

I punti di ristoro

Uomini ed animali potevano utilizzare solo un ristoro alla località delle Nevi, dove c'era una sorgente d'acqua, e su un piccolo pianoro protetto da faggi secolari dove vi erano alcuni casolari che fungevano da osteria e magazzini.

L'attività di tale struttura, appartenente al comune di Ala, non era stata formalmente definita, cioè era priva di un regolare riconoscimento e permesso ufficiale per le funzioni che gli affittuari svolgevano. Oltre a ristoro fungeva da magazzino di scambio, poiché qui convenivano i contrabbandieri provenienti dal versante veronese, che puntavano al confine cercando di evitare i finanzieri della piccola caserma.

Benché i motivi per lo sviluppo del contrabbando fossero consistenti fin dal 1866, cioè quando il confine con l'Austria e il Lombardo Veneto passava sul crinale dell'altopiano della Lessinia, scendendo fino alla zona di Revolto, non si trovano molti documenti in cui sia menzionato il casolare della Veceta.

Il documento più antico che è reperibile ad oggi presso la Biblioteca Civica di Ala riguarda l'asta e il relativo contratto di affitto stipulato presso il comune di Ala da Isacco Zomer e Valentino Mattei.

 

Il casolare della Veceta

 

Alcune ipotesi sulla toponomastica della Vecèta di Val Bona

La località della Veceta ("vecchietta") ha nel corso degli anni del contrabbando acquisito un valore mitico o favolistico, arrivando a generare leggende legate alla figura della vecchia.

Tra queste, le più affermate sono quelle che citano una voce di una donna anziana che incoraggiava i contrabbandieri lungo la faticosa salita nella valle boscosa, o quella che indica nella sorgente il frutto delle lacrime di una vecchina che abitava i boschi ed era rimasta sepolta sotto una cascata. Il nome viene anche fatto risalire alla figura (non comprovata) di una vecchietta che avrebbe gestito l'osteria.

Un'ipotesi più solida, stante la difficoltà nel risalire all'origine del toponimo data la sua antichità, è che il nome derivi dal nome della Valle delle Vecce, che si dirama dalla Val Bona nella sua parte iniziale. Inoltre, veccia è anche il nome dialettale di alcune specie di piante coltivate soprattutto come foraggiere, come la Clematis vitalba.

 

Posizione e attuali condizioni

Per raggiungere il casolare della Vecèta si può risalire la Val Bona da Ala oppure partire in vicinanza della Podesteria, scendere alle malghe delle Scorteghere di Cima e imboccare la strada che immette nella Val Bona, poi seguire il sentiero segnato con il numero 113 e scendere nel bosco fino alla quota di 1250 m sotto il monte Aguz. Il sentiero scende a tratti ripido e tortuoso, fino ad un gradone roccioso dove vi è uno stretto e allungato tratto quasi pianeggiante tra grandi faggi, in cui addossata alla roccia si trova quanto rimane della struttura dell'edificio principale.

Oggi dell'edificio restano solo i muri perimetrali con un'altezza variabile da 1 a 2 metri, un vano di ingresso, e all'interno si riconosce la divisione in almeno due locali: alla destra un piccolo locale dove era presente il focolare ed alla sinistra un locale più grande dove veniva ospitata la gente di passaggio. Davanti ai resti dell'edificio si riconoscono appena le tracce del basamento di altre due piccole strutture, forse dei piccoli depositi. Il sentiero attualmente passa attraverso questi due resti, ma non si può escludere che un tempo girasse da un'altra parte e che l'insieme dei basamenti costituisse un sistema unico di almeno due edifici.

 

Il Casolare della Veceta nei documenti della Biblioteca Comunale

Il primo documento che certifica la presenza dell'edificio e di una attività commerciale nel casolare è costituito dal "capitolato d'asta per l'affitto quinquennale del casolare detto della “Vèceta” del Comune di Ala". Il documento fornisce le informazioni e le condizioni a cui veniva concessa l'affidamento dell'immobile per il periodo 1885-1890, ed era stato preparato per il bando d'asta che si teneva l'anno precedente, il 1884, primo atto di una complessa serie di operazioni burocratiche interne tra i diversi livelli di potere e tra i concorrenti e il comune.

 

 « 1) La presente locazione del casolare della Vecchietta ha principio col giorno 1º ottobre 1885 ed ha termine senza bisogno di disdetta col 30 settembre 1890; »

 

« 2) Chiunque intenda di applicare all'asta dovrà depositare nella cassa civica austr. f. 40 pari a franchi 100 a garanzia dell'asta, e di ritirare analoga fede di deposito da presentarsi a chi presiede all'asta unitamente ad una dichiarazione concepita in forma legale e sottoscritta da benevisa persona, che si obblighi di prestargli sigurtà solidale nel caso che se ne rendesse deliberatario. Non saranno accettate come sicurtà che persone solide possidenti domiciliate nelle provincie austriache e l'approvazione delle medesime è riservata alla Cittadina Rappresentanza. Divenendo deliberatarie più persone unite in società queste di fronte al Comune saranno obbligate solidalmente in uno alla loro sicurtà. Quando uno degli eventuali soci sia persona solida, possidente e domiciliata nelle provincie austriache il Comune potrà decampare dalla pretesa della sicurtà. Sarà obbligo del levatario d'informarsi personalmente col mezzo d'un incaricato debitamente legittimato entro 15 giorni dal di dell'incanto in questa Cancelleria, se la sicurtà presentata sia stata accettata. Mancando il levatario di ritirare in tempo utile questa informazione incorrerà nella perdita dell'importo depositato avanti l'asta, ed oltre a ciò potrà essere reincantato a tutto suo rischio il casolare della Vecchietta. A seguito dell'incanto (messa all'asta) del casolare, esso era stato aggiudicato e il 30 ottobre del 1884 veniva scritto e firmato l'atto di assegnazione della locazione quinquennale presso la Cancelleria Municipale di Ala, con il documento che segue. Attori Isacco Zomer di Antonio di Ala e Valentino Mattei fu Antonio di Ala. Avendo la cittadina rappresentanza nella sessione dei 22 ottobre approvato l'offerta fatta dal signor Isacco del vivente Antonio Zomer di f. 510 in oro annui per l'assunzione della affittanza del casolare detto la Vecchietta posto nella Val Bona per l'epoca dal 1º ottobre 1885 sino a tutto il giorno 30 ottobre 1890 ed avendo lo stesso sig. Zomer dichiarato che tale affittanza viene da esso condotta assieme al sig. Mattei Valentino del fu Antonio come carico solidale, il Municipio fece qui comparsa tutte due le parti e dopo aver essa dichiarato di agire per loro stessi ed eredi e solidariamente venne in loro confronto esteso il seguente documento in forza del quale il sig. Cav. Francesco de Malfatti nella sua qualità di Podestà, ed in rappresentanza di questo Comune, assistito dai sig.ri Consiglieri Dr. Giuseppe Taddei e G. Pietro Taddei da e cede in affittanza ai qui presenti sig. Isacco Zomer e Mattei Valentino accettanti e stipulanti per loro stessi ed eredi e sotto il vincolo solidale il casolare alla Vecchietta posto nella Val Bona per l'epoca dal 1º ottobre 1885 sino a tutto il giorno 30 ottobre 1890 per il prezzo offerto e dalla Cittadina Rappresentanza approvato di f. 510 in oro all'anno da essere pagati in tanti pezzi d'oro da 20 franchi per f. 8.40 l'uno nelle mani di questa ricevitoria comunale in Ala, in due eguali rate di f. 255 l'una scadenti la prima nel giorno 15 giugno e la seconda nel giorno 15 settembre d'ogni anno cominciando coll'anno 1886 sino alla fine della locazione, e ciò tutto sotto l'esatta osservanza del Capitolato d'affitto di data 29 settembre 84 N. 2738 tra i Sig.i contraenti Isacco Zomer e Mattei Valentino dichiarano di pienamente conoscere, e che anzi passano a firmare di loro proprio pugno in segno della presa conoscenza ed accettazione. Oltre all'importo annuo d'affittanza di f. 510 dovranno i conduttori pagare nelle mani di questa ricevitoria comunale il 2% all'anno sull'importo dei f. 510 a titolo rigaglia a questi Pii istituti Ospitale e Ricovero e f. uno in oro pel fondo destinato alla costruzione di una nuova chiesa Parrocchiale e ciò nell'epoca in cui deve essere pagato l'importo di affittanza. Tutte le spese sieno dell'asta, sieno del documento, copia, bolli e bolli della relativa quietanza stanno a tutto carico solidale dei Sig.i contraenti Zomer e Mattei. Letto, chiuso e firmato dalle parti e testimoni dopo di aver il sig. Isacco Zomer dichiarato di aver ricevuto il fatto deposito di f. 40 W. »

   

Il piccolo casolare, situato in una posizione così scomoda, aveva dunque valore notevole. Probabilmente questo canone era indice dell'importanza strategica della Vecèta e dell'elevato volume di traffico che era prodotto dal movimento delle merci di

contrabbando.

 

L'edificio in passato

Dalla relazione di stima del casolare fatta il 20 settembre 1885 dai geometri Romolo Scomazzoni e Luigi Dalla Laita si può ricavare la consistenza delle strutture allora esistenti. All'epoca gli edifici stimati erano tre, e non uno solo come appare oggi dai ruderi rimasti.

C'era un casolare usato come stalla delle dimensioni di 3 metri per 3,80, pensato per far riposare gli animali da soma che salivano. Già allora si trovava in cattivo stato poiché mancava del tetto, ed i muri minacciavano di cadere.

Vi era poi un secondo casolare annesso, usato come ripostiglio, la cui muratura era in discreto stato e misurava internamente 6 metri per 4 ed era alto 2,20 metri. Il pavimento, il soffitto ed il tetto erano era formato da assi di legno in larice e abete, ed era dotato di porta e di tre finestre.

Vi era infine un terzo casolare utilizzato come bottega delle dimensioni di 5 metri per 5 con una porta principale e due finestre con inferriate, più una seconda porta che portava nel casolare vicino.

Dalla descrizione sappiamo che c'erano un camino e un focolaio con cappa di larice, che il pavimento era ricoperto di assi d'abete e che anche i muri erano ricoperti di tavole per limitare gli effetti dell'umidità.

 

La storia di Tönle

Il contrabbando è sempre stato uno degli elementi che hanno caratterizzato la zona del confine Trentino-Veneto. Su questo tema autori come Mario Rigoni Stern hanno basato le loro storie, una di queste è la Storia di Tönle.

Pubblicato nel 1978, l'opera prende spunto dall'esperienza autobiografica dell'autore.

Al centro del racconto sono le montagne dell'altopiano d'Asiago, mondo della memoria e della natura che impronta tutta l'opera dell'autore.

Il romanzo racconta di Tönle Bintarn, un contadino veneto, pastore e contrabbandiere, che si trova coinvolto nei grandi eventi storici della prima guerra mondiale. Dopo aver ferito una guardia della Finanza durante un'operazione di contrabbando, ed è costretto a fuggire. Nella sua fuga il contadino rimane legato alle proprie origini e ai suoi luoghi, e il ricordo gli consente di sopravvivere alla durezza della guerra e della prigionia.

 

I cippi di confine

 

La linea confinaria territoriale fra la Casa d'Austria e la Repubblica di Venezia, sul Monte Baldo e la Lessinia, definita con il Trattato" di Rovereto, fu contrassegnata sul terreno durante l'autunno del 1754, sulla base di quanto stabilito, in linea generale, dallo stesso Trattato.

Il Trattato aveva deciso che il Confine Territoriale doveva "Stabilirsi a norma de' Possessi privati, tali quali in ora ritrovansi, riconosciuti concordemente dalle Parti, ed indicati in adesso alla Commissione". Assumevano così importanza fondamentale i confini fra possessi privati Veneti e Trentini, che esistevano in gran parte dei terreni interessati.

Seppur in qualche punto contestati, erano per lo più sufficientemente definiti dalle secolari controversie fra le comunità di Ala, Avio e Brentonico da una parte, ed i proprietari Veneti dall'altra. Questi ultimi, eminenti casate o congregazioni religiose, seppero difendere sempre efficacemente le loro proprietà.

 

Tecnica e condizioni delle pietre

I cippi confinari furono realizzati in marmo rosso ammonitico veronese. Si tratta di una pietra dura, costituita da calcari rossastri, rosati o bianchi, a seconda dei tratti. Di questi cippi, quelli infissi in Val Lagarina furono estratti in una cava presso Rovereto e lavorati a Crosano (Brentonico) dai maestri lapicidi Sandri e Milian, mentre quelli sulla Lessinia furono estratti e lavorati in loco.

Le pietre sono infisse nel terreno con una tecnica primitiva, senza cemento, per cui molti sono stati inclinati semplicemente dalla mole dei bovini delle mandrie di passaggio.

Alcuni appaiono tranciati di netto, probabilmente danneggiati dai traini d'artiglieria nel 1915/1916.

Dopo l'infissione originale, i termini subirono interventi per modificare le scritte, dovute alle variazioni istituzionali degli Stati confinanti, oppure addirittura rimpiazzi per demolizioni o sparizioni, con tipi diversi e con scritte rispecchianti lo status del momento.

Sui termini territoriali principali e intermedi, dopo il 1815, vennero scolpite in piccoli incavi, le scritte: R. Lombardo Veneto da una parte e Provincia del Tirolo dall'altra; sui lati più corti vennero scolpiti il numero progressivo e l'anno, che erano stati in parte obliterati per aggiungere le nuove scritte.

Oltre ai termini in pietra nei punti in cui era impossibile il trasporto, come il versante della Val Lagarina, la linea confinaria è stata definita con delle croci incise sulla roccia. Ne sono un esempio i termini 111, 112, 113 ed altri non numerati.

- Fine articolo Wikipedia -

 

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